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martedì 21 maggio 2013

Orgoglio e caffè macchiato di Robiglio

Si leva alto lo sdegno, non a caso Archimede pronunciò parole amare come “datemi una leva e vi solleverò un mondo di sdegno”, appena appena più giovane di Andreotti aveva già capito che a pensare male si pone a giusta distanza il fulcro del discorso, diciamo tra potenza economica e resistenza ai due pesi e alle due misure, ai doppi giochi, ai doppi Sensi padre e figlia, alle doppie punte, al pelo sullo stomaco insomma, e così è possibile ottenere qualsiasi rigore con il minimo sforzo, Balotelli cade addirittura senza nemmeno quello, cade in mancanza di contatto, in assenza di fallo, cade per una sorta di razzismo dell’equilibrio. La mancanza di gravità degli interventi avversari è lunare. Si, facendo leva sulla sudditanza si superano anche i rigori dell’inverno, fino ad ottenere i rigori del girone di ritorno. Archimede ha omesso solo una cosa, la stessa che Andreotti si è portato nella tomba insieme ad altre cosucce tipo la verità su Montolivo, e cioè, che oltre ad un certo sforzo, la leva si potrebbe flettere o rompere, come la corda, qualcuno sforzandosi troppo a nascondere le malefatte del sistema calcio potrebbe persino cacarsi addosso, come Cucci che in quanto Italo, rischia che l’omonimo convoglio ferroviario lo travolga, l’unico modo rimasto per far si che la sua alta velocità di pensiero trovi la giusta trazione, insieme a tutti quelli che fanno finta di niente pur di mantenersi poltrone Frau-dolente. E così poi c’è chi tra i tifosi più sanguigni non trova pace e chi invece come me non trova più le mezze stagioni, tra rovesci d’acqua e stagioni intere arbitrali dove fischiano alla rovescia, malgrado tutto ciò nessuno però può toglierci di dosso l’orgoglio tipico fiorentino, quello che ci preserva proprio dal vociare, orgoglio che se riscaldato dal continuo fabbisogno, migliora, s’insaporisce come la ribollita. Quello che ci regala il gusto della battuta. Non serve a niente abbandonare le buone maniere, le buone battute, non serve accantonare l’ironia per gridare e mostrare il peggio, il lato più brutto, come se fossimo colti dalla sindrome di Stendardo, è antiestetico tarantolarsi come se un petardo ci frastornasse il buonsenso disorientatndoci dallo spirito fiorentino. No, non baratto il panino con il lampredotto con il cibo/spazzatura dal quale tracima ketchup, come la voce alta che serve solo all’arrotino. Mi tengo caro il modello di questa Fiorentina, serenità, equilibrio e sobria eleganza, contro i cortei sindacali che oggi vorrebbero rivendicare il diritto a urlare la propria rabbia, la stessa, sguaiata, che solo ieri veniva usata contro i Della Valle. No, li aspettiamo tutti con il sorriso sulla bocca, senza bisogno dei nasi finti e delle parrucche, gamba accavallata all’ombra della Cupola del Brunelleschi, che a differenza di quella di Galliani, è autoportante e non portatrice di virus che uccidono il calcio, tanto sono lì a dividersi ormai uno degli ultimi ossi, poi gli arbitri non basteranno più, sono alla frutta, il futuro è nostro e non c’è bisogno di alzare la voce, basta alzare la qualità del gioco. Si al fair play e al bel calcio, via le barriere dal campo, no ai capannelli intorno all’arbitro che puzza, il calcio bello si esprime con i toni bassi, come il pallone, sempre a terra. E noi siamo il bello, anche le colline sono dolci, i biscotti li inzuppiamo nel Vin Santo, la bava alla bocca, la rabbia scomposta, il berciare è modo rozzo, crudo, mentre l’unica cosa a crudo che ammettiamo è l’olio sul pinzimonio. No al proliferare del sushi. Non baratto il modello Fiorentina con la volgarità e la violenza presente oggi nel calcio, a tutti i livelli, un modello il nostro che per qualcuno è addirittura troppo poco moderato, e penso al povero Failla che trema di paura ritenendo il nostro un fair play inaudito, e allora per lui ma non solo, via alla seconda fase, un giro di vite alle buone maniere, via al fair plaid per chi trema di paura davanti all’ironia. Il calcio che pratichiamo noi è quello bello come la gioia di Vittiglio sullo zero a cinque, Vittiglio dentro e il caffè macchiato di Robiglio fuori dal campo. Sempre. Un esplosione di bellezza. E per la prossima stagione già sono lì che stendo il mio nuovo striscione “Viola Club Stendhal”.