Si
leva alto lo sdegno, non a caso Archimede pronunciò parole amare come
“datemi una leva e vi solleverò un mondo di sdegno”, appena appena più
giovane di Andreotti aveva già capito che a pensare male si pone a
giusta distanza il fulcro del discorso, diciamo tra potenza economica e
resistenza ai due pesi e alle due misure, ai doppi giochi, ai doppi
Sensi padre e figlia, alle doppie punte, al pelo sullo stomaco insomma, e
così è possibile ottenere qualsiasi rigore con il minimo sforzo,
Balotelli cade addirittura senza nemmeno quello, cade in mancanza di
contatto, in assenza di fallo, cade per una sorta di razzismo
dell’equilibrio. La mancanza di gravità degli interventi avversari è
lunare. Si, facendo leva sulla sudditanza si superano anche i rigori
dell’inverno, fino ad ottenere i rigori del girone di ritorno. Archimede
ha omesso solo una cosa, la stessa che Andreotti si è portato nella
tomba insieme ad altre cosucce tipo la verità su Montolivo, e cioè, che
oltre ad un certo sforzo, la leva si potrebbe flettere o rompere, come
la corda, qualcuno sforzandosi troppo a nascondere le malefatte del
sistema calcio potrebbe persino cacarsi addosso, come Cucci che in
quanto Italo, rischia che l’omonimo convoglio ferroviario lo travolga,
l’unico modo rimasto per far si che la sua alta velocità di pensiero
trovi la giusta trazione, insieme a tutti quelli che fanno finta di
niente pur di mantenersi poltrone Frau-dolente. E così poi c’è chi tra i
tifosi più sanguigni non trova pace e chi invece come me non trova più
le mezze stagioni, tra rovesci d’acqua e stagioni intere arbitrali dove
fischiano alla rovescia, malgrado tutto ciò nessuno però può toglierci
di dosso l’orgoglio tipico fiorentino, quello che ci preserva proprio
dal vociare, orgoglio che se riscaldato dal continuo fabbisogno,
migliora, s’insaporisce come la ribollita. Quello che ci regala il gusto
della battuta. Non serve a niente abbandonare le buone maniere, le
buone battute, non serve accantonare l’ironia per gridare e mostrare il
peggio, il lato più brutto, come se fossimo colti dalla sindrome di
Stendardo, è antiestetico tarantolarsi come se un petardo ci frastornasse
il buonsenso disorientatndoci dallo spirito fiorentino. No, non baratto
il panino con il lampredotto con il cibo/spazzatura dal quale tracima
ketchup, come la voce alta che serve solo all’arrotino. Mi tengo caro il
modello di questa Fiorentina, serenità, equilibrio e sobria eleganza,
contro i cortei sindacali che oggi vorrebbero rivendicare il diritto a
urlare la propria rabbia, la stessa, sguaiata, che solo ieri veniva
usata contro i Della Valle. No, li aspettiamo tutti con il sorriso sulla
bocca, senza bisogno dei nasi finti e delle parrucche, gamba
accavallata all’ombra della Cupola del Brunelleschi, che a differenza di
quella di Galliani, è autoportante e non portatrice di virus che
uccidono il calcio, tanto sono lì a dividersi ormai uno degli ultimi
ossi, poi gli arbitri non basteranno più, sono alla frutta, il futuro è
nostro e non c’è bisogno di alzare la voce, basta alzare la qualità del
gioco. Si al fair play e al bel calcio, via le
barriere dal campo, no ai capannelli intorno all’arbitro che puzza, il
calcio bello si esprime con i toni bassi, come il pallone, sempre
a
terra. E noi siamo il bello, anche le colline sono dolci, i biscotti li inzuppiamo nel Vin Santo, la bava alla bocca, la rabbia scomposta, il
berciare è modo rozzo, crudo, mentre l’unica cosa a crudo che ammettiamo
è l’olio sul pinzimonio. No al proliferare del sushi. Non baratto il
modello Fiorentina con la volgarità e la violenza presente oggi nel
calcio, a tutti i livelli, un modello il nostro che per qualcuno è
addirittura troppo poco moderato, e penso al povero Failla che trema di
paura ritenendo il nostro un fair play inaudito, e allora per lui ma non
solo, via alla seconda fase, un giro di vite alle buone maniere, via al
fair plaid per chi trema di paura davanti all’ironia. Il calcio che
pratichiamo noi è quello bello come la gioia di Vittiglio sullo zero a
cinque, Vittiglio dentro e il caffè macchiato di Robiglio fuori dal
campo. Sempre. Un esplosione di bellezza. E per la prossima stagione già sono
lì che stendo il mio nuovo striscione “Viola Club Stendhal”.
