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venerdì 31 gennaio 2014

L'antidoto Ambrosini e il quasi gay Anderson

Oggi vorrei rispondere senza tanto giropalla a chi trova inadeguato l’inserimento di Ambrosini all’interno di un meccanismo che produce il calcio più bello d’Italia. E lo faccio argomentando, perché questo atteggiamento non tiene conto del fatto che Ambrosini, al contrario di quanto si crede, è molto funzionale proprio per risolvere le problematiche tipiche derivate dalla troppa bellezza espressa dalla squadra. Trovo quindi questo tipo di critica verso Montella, un approccio un po’ superficiale, un po’ come quello di chi aveva previsto il suicidio del blog, e chi lo fa non tiene conto abbastanza del fatto che a Firenze, da sempre, si è dovuto convivere con i derivati della bellezza, e i disagi che questa provoca a volte negli animi più sensibili. C’è stato un periodo che il Bambi ha fatto il custode agli Uffizi, tra un soggiorno a San Patrignano e l’altro, e mi ricordo che mi raccontava come tutte le mattine venisse istruito e messo in grado di compiere interventi di primo soccorso. Succedeva che alla fine di una serie di sale, quando il percorso del turista ignaro combinava la visione in rapida successione di quadri del Botticelli, Giotto, Leonardo e Mantegna, alla fine, stordito da tanta bellezza, gli veniva la Sindrome di Stendhal e crollava al suolo. A quel punto interveniva il Bambi, che per far riprendere il turista mostrava una foto di Ribéry. Ecco, Montella ha adottato lo stesso tipo di metodo, ed oggi inserisce Massimo Ambrosini per scuotere dal torpore causato ai tifosi Viola dalla troppa bellezza del gioco della squadra. Devo dire che Montella dosa perfettamente la bellezza della manovra, e con l’utilizzo di Ambrosini tiene in costante equilibrio il picco di bellezza per non farlo degenerare in una qualche sindrome che poi il Calvarese della situazione interpreta erroneamente come una Simulazione di Stendhal. Devo confessare che io,  a differenza di Montella, in un periodo un po’ buio della mia esistenza ho utilizzato la mia sfrontata bellezza fisica in maniera disonesta. Ricordo che lei era, invece, di una bellezza ormai sfiorita, ciò nonostante aveva qualcosa che mi attraeva in maniera irresistibile. E così cominciai a fargli la corte “Signorina ha degli occhi stupendi”, l’abbordai così, in modo forse banale, sull’11 che mi portava in centro. Lei ricordo che mi sorrise, arrossì e abbassò lo sguardo. Forse era timida, pensai, forse faceva mente locale sui suoi occhi che non erano poi così belli come io invece sostenevo con enfasi. “Davvero”, insistetti, “lei ha uno sguardo che mi lascia senza fiato, non so cosa mi succede, è qualcosa che non mi era mai successo”. “Ma che dice? Non crede di esagerare?”. Ma si vedeva chiaramente che era contenta, perché chissà da quanto tempo un uomo non le faceva più un complimento. L’autobus proseguiva mentre io intervallavo alle buche che caratterizzano il fondo stradale del centro storico, i miei piccoli affondi con le sue ritrosie, dolcissime e ormai quasi prive di resistenze, mentre i sobbalzi dell’11 facilitavano l’avvicinarsi dei nostri corpi che si toccavano e sfioravano di continuo. Sembravamo vecchi amici, o forse due fidanzati. Credo che se avessi voluto, probabilmente mi avrebbe dato subito il suo numero di telefono. Ma ormai non c’era più tempo, eravamo già alla mia fermata. Scesi, dopo averle stretto la mano sorridendole, e notai mentre l’autobus ripartiva, che lei si era girata per guardarmi andare via. Ci tenni a gridargli, “Sono come Anderson, non sono gay”. Sicuramente non ci saremmo più rivisti. O almeno questo lo speravo io, mentre dietro l’angolo mi ero già messo a frugare nel portafogli che le avevo sfilato dalla borsetta. Poi mi rabbuiai quasi subito e mi chiesi forse già pentito, perché mai una persona normale dovrebbe leggere quello che scrivo su questo blog, e la risposta la trovai scritta su un muro di via dell’Ariento.