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sabato 25 gennaio 2014

La Vucciria

Oggi parliamo un po’ del blog, soprattutto parliamo degli argomenti con i quali giornalmente apparecchiate la tavola rendendola varia anche se non sempre equilibrata. Le discussioni prendono direzioni a volte imprevedibili, altre invece sono scontate come la merce in saldo. Ci sono picchi di creatività e fantasia accompagnati da sbalzi depressivi degni dello snaturato Delfino, addestrato cioè come se fosse un piccione viaggiatore. Momenti nei quali si annidano sacche di stanca argomentativa, una sorta di risacca di pensiero che lambisce le coste di questa terra di passione. Ognuno arricchisce la tela sulla quale scarabocchio certe mie idee strampalate, con un apporto cromatico che solitamente regala un risultato d’insieme molto piacevole. C’è chi viene concettualmente dalla scuola cosiddetta “Lacustre”, quella che esprime più di tutti la sua vivacità creativa con monocromi limacciosi. L’interprete massimo è “l’elvetico” che si esalta soprattutto con l’uso del bianco, una scelta espressiva precisa che tende a renderlo volutamente di difficile comprensione, una scuola di pensiero che infratta la propria logica attraverso il colore bianco del foglio. Oppure quando si usa la ripetitività ossessiva di chi dalla scuola dei lacustri e del monocromo sfocia nel post-ljajicismo, nel senso che il manifesto di questa corrente si esprime con post che parlano di Ljajic in maniera ossessiva. Io che amo Renato Guttuso e la Vucciria in particolar modo, so che mi devo scontrare proprio con il movimento dei lacustri perché pensano che il mio realismo sia riferito all’esaltazione della marcatura stretta di cui fu grande maestro Rino Gattuso. Ecco, quello che voglio dire è che il bello di questo blog è proprio la commistione tra chi vede bianco e chi vede nero, tra chi vede nero quando invece è bianco e per questo viene accusato di essere bianconero. C’è chi ha una visione cubista del calcio e così vede Gomez come un problema e lo dipinge con tre occhi e poi firma le sue trame di pensiero non più con il proprio nome ma con il 433, che è una sigla che sta ad indicare l’importanza dei contenuti di quel pensiero piuttosto che l’identificazione dell’autore. Ovvero, è meglio che certe cazzate non siano firmate per non essere rincorsi. C’è poi chi è più gestuale, ancora più feroce di un taglio di Fontana, e più ancora della gestualità di Vedova, poi c’è chi è ancora vedova di Prandelli. C’è comunque chi usa una certa volgarità espressiva accentuata per rendere comune il suo linguaggio e metterlo così a disposizione di tutti i ceti sociali, mandare affanculo o cacare in un barattolo può assumere il significato di merda d’autore come ha già fatto Manzoni, confezionando delle stronzate di teorie da rendere comunque fruibili anche in grande distribuzione. So benissimo che ci sono scuole di pensiero antitetiche, però di fondo c’è in comune la passione per il Viola che è pur sempre il colore primario nella tavolozza della nostra vita, ci scorniamo oppure dipingiamo a quattro mani tele che c’impegnano per settimane intere, astrattismo, espressionismo, miopismo come quello di chi cerca un supporto aggrappandosi alle citazioni di Cosmi come se fossero quegli occhiali per leggere da vicino che si comprano dal tabaccaio. Personalmente pratico il surrealismo che utilizzo per mascherare la mancanza di competenza, non a caso il mio maestro preferito è Dalì perché capisco poco e da lì ormai non mi muovo più. C’è chi invece a differenza mia usa la metafisica dipingendo partite irreali volendosi rifare alla scuola di Carlo Carrà e non si accorge di essere più vicino invece a quella di Raffaella Carrà. A proposito della scarsa capacità di lettura degli eventi, che siano calcio o più in generale momenti nei quali occorre capacità di analisi per dimostrarsi adeguato alla situazione, mi vengono in mente due versiliesi che si sono trasferiti in San Frediano negli anni 50, entrarono nella Forestale non si sa come, sicuramente senza nessuna competenza specifica, forse non avevano visto nessun albero diverso da quelli che si trovano nel primo tratto del viale dei Colli. Insomma, ricordo che andai a cercare i funghi al Bobolino, ma appena entrato nel bosco, anche se bosco è una parola grossa, diciamo radura, no via, è dura anche dire radura, diciamo che il Guarguaglini e il Falciani con la loro bella divisa mi fermarono non appena entrai dentro a un cespuglio. Mi chiesero di mostrargli l’apposito tesserino, che io chiaramente non avevo, essendo però figlio di buona donna me la cavai mostrandogli la licenza di pesca. Gli agenti mi lasciarono andare ma si raccomandarono che non raccogliessi più di venticinque triglie. Oggi sono io a raraccomandarvi di non scambiare Cuadrado per un attaccante.