presidio Diladdarno Slow Tifood, lampredotto e Fiorentina
.
martedì 12 marzo 2013
Animals
Ritorno
ad abbeverarmi a quella vittoria come certi animali costretti a fare
chilometri alla ricerca della solita acqua, e la mia dopo i chilometri
percorsi per arrivare nell’acquitrino ha ancora intatto tutto il sapore del
nubifragio capitolino, che non è proprio uguale a quello della rosetta
con dentro la porchetta, comunque quello dove sono naufragati i maiali
travestiti da aquile. Quella limpida di una vittoria limpida,
trasparente, una pioggia grossa come la caccia grossa al risultato,
robusta come una vittoria robusta, come se volesse scaricare
direttamente delle pozze invece di crearle, per farci diventare pazzi di
felicità. Fradici marci di felicità invece che di ridimensionamento.
Qualche bella fotografia sparsa sul tavolo della memoria di una partita
bestiale. Con Borja che sale sull’arca e salva il calcio dal diluvio
universale di Zamparini che intanto, disperato, richiama Sannino mentre
non gli è imasto che ingaggiare Bersani per farlo sedere sulla panchina
delle squadre avversarie. Uno stormo di ricordi, i miei, che viaggiano
insieme a compagni di passione, che migrano come i fagioli di contorno
dentro al piatto insieme ad una magnifica “fiorentina, sana e senza
infiammazione. Dove ci si ritrova intorno alla felicità del risultato
spolpandolo fino all’osso. Mentre l’antidellavallismo se ne via di
pedina come un fagiano tra la vigna, e se ne va via anche dai siti della
Fiorentina. Forse per la vergogna. Immagini di una serata che
potrebbero essere tratte da quelle bellissime del National Geographic,
con le quali abbiamo marcato il territorio che spetta solo alle grandi
squadre, orinando sulle ambizioni laziali, imponendoci alla
geografia del calcio non solo nazionale. Siamo suino nazionale ma anche
Jamon iberico Pata Negra che non è razzismo ma fair play tra il Serrano
e il Bellota. E così siamo saliti sul treno per l’Europa, una sorta di
treno per Yuma con in più solo qualche piuma, con l’agilità del puma che
a Roma procura tanta rabbia che poi fa schiuma, mentre i contestatori
sono detenuti in cattività e rinchiusi insieme ai loro cattivi pensieri
pieni di orpelli e striscioni di contestazione attaccati ai cancelli. E
nel ristagno di una Lazio frustrata e senza più ritegno si è vista
l’eleganza del cigno durante il possesso palla, il cinismo di chi
predatore colpisce senza lasciare speranze, una squadra questa volta con
i tratti della concretezza tipica di chi deve uccidere per
sopravvivenza, ma con il movimento vanitoso di chi fa la ruota per
compiacersi. Una partita bestiale con il Lider Maximo Borjia Valero che
per qualcuno è stato un’apparizione, come vedere la Madonna, mentre per
la Lazio, Madonna non è nemmeno quella di “Cercasi Susan disperatamente”
ma quella di cercasi il pallone disperatamente ad oltre trentasei ore
dall’evento. C’è chi costruisce i castelli in aria e chi come i castori
si accontenta delle dighe, poi c’è Jovetic e Ljajic che le dighe le
fanno saltare, e non come certi canguri stanchi, le fanno saltare come
birilli, mentre alla Menarini vorrebbero sapere come fa Bersani a
smacchiare i giaguari, se cioè usa la vivisezione o se lo fa solo per
uccidere la passione in ogni sezione. E poi c’è chi alle primarie Viola
aveva votato Tutunci, e come dice Elio “unci, dunci, trinci”, evidentemente dei veri Leonardo da Vinci. Un post animale questo, istintivo, che
puzza di selvaggina, quella di una vittoria di frodo, nella riserva
chiusa di un Lotito impietrito, inebetito, che usa l’Acqua Belva dopo
essersi rasato. Mentre si aprono spiragli e sguardi felini, per fortuna
non felsinei, spiragli lontani da certi ragli. Mentre Ranocchia non si
trasforma mai in un principe per affogare prima dentro a una finta di
Gilardino e poi dentro a una goccia di Acqua di Gio.