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sabato 10 novembre 2012

Le verità del cugino di Vargas

Dopo le rivelazioni uscite ieri sul Corriere dello Sport Stadio nelle quali sono emersi alcuni particolari sul mancato rinnovo del contratto di Montolivo, il cugino di Vargas su un emittente di Genova ha raccontato la toccante storia che ha coinvolto invece il giocatore peruviano, un fatto di cronaca fiorentina che è stata tenuta nascosta dalla società Viola, ma che alla fine ne ha minato il rendimento a Firenze fino a metterne in serio dubbio anche la carriera, visto come ancora oggi Manuel non riesca a uscirne psicologicamente, cercando nella birra quel conforto artificiale che invece lo spinge sempre di più verso un baratro saccarometrico. E’ una storia d’amore finita male la sua che il cugino ieri ha avuto il coraggio di rendere pubblica con la speranza di sensibilizzare un ambiente focalizzato solo a contestarne il rendimento non conoscendone affatto le profonde cause che lo hanno causato, ricordando anche che la notte del ribaltamento con la Porsche in Piazza Pier Vettori fu proprio quello nel quale il giocatore fu sconvolto e coinvolto nell’incidente stradale che tanto ha fatto parlare, una corsa disperata che il cugino ha raccontato con l’aggiunta di un filo di commozione a crudo. L’inizio della crisi di Vargas, quello per intendersi nel quale le galoppate sulla sinistra sono scomparse dal suo repertorio coincide con la scomparsa di Beatrice, una fruttivendola di Santo Spirito del quale il peruviano si era perdutamente innamorato un giorno che cercava la menta per il mojito. Lei aveva un banco di frutta in Santo Spirito, da quando però era caduta rovinosamente da un fico, quel frutto era stato bandito dalla sua mostra, poi era diventato una fobia. Quando si parlava di sesso la sua poteva essere solo la “passera”, nient’altro che ricordasse la causa di quelle fratture multiple, mora come una mora e bellissima come una composizione di frutta da matrimonio, i suoi occhi avevano una strana forma che ricordava quella di un fico adagiato su un fianco. Aveva anche una strana intolleranza emotiva verso Ficarra, senza mai riuscire a capire bene il perché, visto che invece con Picone andava molto d’accordo, Vargas che se ne era innamorato subito era diventato ormai un suo storico cliente. Lei non lo vedeva proprio e anzi lo aveva scambiato per uno che vendeva la Nazione al semaforo in fondo al viale Europa, lui subdolo intanto aspettava, come quella sera che la sorprese terrorizzata dallo stalking messo in atto dal meglio fico del bigoncio di tutta San Frediano. La rassicurò e poi la invitò prima a cena, e dopo la macedonia, a casa. Disperata allora si lasciò andare, si baciarono e dalla sua bocca uscirono tutti i sapori della frutta esotica del suo banco, un campionario che si portava sempre con se per deformazione professionale. Vargas aveva pronto il colpo di scena, il suo pezzo forte, scenografico, un rituale seduttivo che aveva imparato da un playboy di Lima. “Vado in bagno mettiti comoda”, lui sicuro di stupirla lei già sul letto tutta avvolta dal desiderio quando si apre la porta del bagno ed esce quella fava in costume adamitico, corpo scultoreo e solo una foglia di fico a coprire il sesso. Una trovata tale che quella foglia se la sarebbe dovuta mettere anche in testa perché a lei si annebbiò subito la vista, cominciò a sudare fruttosio mentre le salivano i valori del diabete, del colesterolo e dalla glicemia. Il sangue diventò sciroppo di mele, la pelle si coprì di peluria come una pesca. La chiesa di Santo Spirito fu addobbata con albicocche e ciliege di Vignola, ed era tutto uno sputar di noccioli mentre l’epitaffio sulla tomba recitava “ sono arrivata alla frutta”. Il resto è noto, lui non si è più ripreso e l’epitaffio sulla sua carriera è lo stesso di quello di Beatrice sulla tomba.