Firenze
è città di contrasti forti, quelli che a Siena chiamano
panforti, divisioni che sono politiche, cromatiche, di qua e
Diladdarno, sale e pepe, quello che a Siena chiamano panpepato,
divergenze gastronomiche anche nella comunità gay tra chi
preferisce l'ossobuco e chi il buco con la menta intorno, ed è
normale poi assistere anche a intemperanze gastroenteriche quando si
tratta di vomitarsi addosso di tutto, anche fosse solo per rimarcare
la sottile differenza che c’è tra il conato di vomito e il
cognato del Romito. Quindi non solo nella sua espressione politica
più conosciuta, tra le due fazioni opposte che sostenevano,
una l’imperatore Adriano in prestito dall’Inter, e l'altra il
Papa Waigo visto nella vittoria con la Juve, Gufi e Bighelloni usati
da sempre nei mille rivoli del disaccordo, e dai rivoli del Vivoli ai
tavoli del Badiani per la palma del gelato più buono. Ma anche
per raccontare il caratteraccio burbero di questi berberi, che sono
metafora di uomini liberi in contrasto con chi è sposato, con
le tragiche partite anni 80 tra scapoli e ammogliati, tra gli
ammaliati nel vedere due scapole e chi invece tromba con più
continuità. Diciamo che questa storia dei Gelsi e dei
Gamberini è abusata ormai più di una donna non
consenziente, usata in tutte le posizioni e salse, ma anche senza
sughi, in bianco come quando uno non è ben disposto al
litigio, costretto a un risotto a trentasei denti invece di una
collerica bestemmia, che a Firenze poi non è nemmeno tutto
questo gran peccato, di quelli per intendersi che in Purgatorio
levano cinque punti da una penitente, perché il nostro è
solo un intercalare, e con questo alibi disabile si tenta d'inculare
chi ti fa notare che invece non sta tanto bene, ma notare invece fa
bene e per questo che la gente fa noto libero, proprio perché
se è libero tutto è permesso, anche l'intercalare a
dorso nudo. Come chi si skanna tra una canna e la musica ska
sostenendo che Vincenzo si chiama Guerini, e chi abituato invece a
bere da sempre whisky doppi mentre fa il doppio gioco con una misera
doppia coppia insiste nel chiamarlo Guerrini, come anche Battistutta
con la stessa arroganza di quando posteggia il suv sul marciapiede.
Ma se è vero che il contrasto è anche e soprattutto
cromatico come quello dei marmi rinascimentali, in città non
ci può essere contrasto per l’unico colore amato che è
Viola a tinta unita, che non evita però agli abitanti di via
Guelfa e a quelli di via Ghibellina di avere contrasti forti come
quelli di Behrami, quando devono affrontarle le squadre strisciate, e
se facciamo un viaggio nella cromoterapia capiremo meglio come ce la
siamo cavata quest’anno contro le bicolorate, e cercare così
di leggere tra le righe se il giallorosso prossimo venturo sarà
un colore da temere oppure no. Vediamo che con i nerazzurri non è
stata una tragedia, con i rossoneri ce la siamo cavata alla grande,
il giallo con il rosso invece, a Firenze si è diviso tra la
Roma e il Lecce dove abbiamo vinto e perso, e per domani visto che
siamo a campo invertito prevedo un risultato omosessuale, con la Roma
a 90 gradi, in modo da stingergli i colori, e parlando di buchi, di
portare via l’intero bucato dopo averli stesi con il gioco di
rimessa, tattica con la quale finora non ci abbiamo mai rimesso. Ma
il dramma vero sembra essere quello con il bianco e nero, da sempre
simbolo del contrasto e del colore poco digeribile da queste parti,
quest’anno addirittura con un melodramma, che si è
estrinsecato come direbbe quel monocromo di Delio, senza neanche
Melo, così che alla fine ci è rimato solo il dramma di
una sconfitta storica. Ma siamo sicuri però che il bianco e
nero sia veramente così deprecabile, così schifoso, e
mi viene in mente la tastiera del pianoforte dalla quale far
rinascere tutte le volte i notturni di Chopin, e allora vi chiedo e
non mi chiedo, visto che io la conosco già la mia risposta, ma
il bianco e il nero della foto qui sopra, sono un qualcosa che
avvinghiato alla vostra fobia per quel contrasto vi farebbe poi così
tanto schifo? E non voglio credere che direste alle signorine di non
potervi coricare con loro per un intero notturno di Chopin a causa di
un fastidioso mal di testa dovuto a quell’accostamento di colore
troppo violento per via della vostra risaputa e orgogliosa
sensibilità oftalmica, un'allergia oculistica a quel contrasto
netto della cromia di pelli in antitesi che vi rende così
tanto fieri fino a generare in voi incubi dalle sembianze di
Platini, perché altrimenti o siete gobbi o Platinette.