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lunedì 4 novembre 2013

Vi amo da generazioni

Molto tempo do molto tempo re, molto tempo mi, molto tempo fa nacque la squadra della città più bella del mondo, musica per gli orecchi degli Dei del calcio, fu subito arcobaleno e poi in un baleno gli Dei passarono sotto l’arco di San Pierino prima che cominciassero a spacciare. L’arcobaleno era sembrata la cornice più giusta al colore per eccellenza di questa città, quel Viola di fondo di una vita che scorre da una vita insieme all’Arno e là dove in ogni fondo sarebbe poi nata la bottega. Bottegai donne e guai fu una conseguenza, diciamo una distrazione fatale di chi si dimenticava di chiudere la bottega dopo aver trombato la moglie dell’argentiere, da qui si assocerà l’argento al secondo posto, perché chi trombava la moglie dell’argentiere di via de’ Serragli era comunque arrivato secondo, poi un po’ per la crisi, un po’ perché la su’ moglie era una gran maiala si mise a lavorare anche il bronzo che avrebbe definito l’intero podio. Nacquero compositori colorati come Verdi e Rossini, l’azzurro cantato da Celentano e la bandiera bianca sventolata da Montolivo a San Siro, nacquero solo per formare i colori del calcio storico. Nacque anche Toscanini per inventare i sigari. Chi si laureava a Firenze non sarebbe stato mai uno dottore qualsiasi come a Bologna ma un Lamredottor, e tra i tanti colori della città, in tempi di marroni del Mugello sbucava fuori anche la castagna di Vargas, non solo un semplice sinistro, ma un sinistro presagio che costringeva il Milan a rifugiarsi nella bassa classifica. Visto che è tempo di funghi il mio appello è quello di stare attenti ad opere come il boletus di Ravel, velenose come le parole di Braschi, uomo che s’imbrasca spesso con Nicchi e si aprono la bottega a vicenda, opere tossiche come le sentenze della giustizia sportiva. Per noi la Fiorentina è parsa da subito lo strumento della passione, c’è chi suona invece il clavicembalo al quale molti fanno anche cori di discriminazione razziale, ma non perché è uno strumento di ebano, solo perché è uno strumento testa di cazzo, e mentre i giornalisti che parleranno di crisi nera del Milan verranno presi per razzisti, c’è chi come Cuadrado che preferisce suonare invece del clavicembalo la clavicola, intanto Ljajic suona il citofono per farsi aprire la porta della prima squadra, Montolivo suona il flauto di traverso, proprio come gli è rimasta l’ennesima lezione di Borja Valero. Allegri suona lo spiffero che passa sotto le porte dello spogliatoio, spifferi di esonero si dirà, la ragazza di Montolivo adesso che lui è in ritiro suona la tuba di falloppio, oltre al triangolo, quello che non riesce mai a chiudere il suo Riccardo. Amo Firenze come Vargas amava la birra, come Bonnie amava Clide, come Caino amava Abete non solo perché gli faceva ombra ma perché dopo averlo ammazzato si sarebbe migliorato il calcio. Senza Firenze sarei come un’autostoppista senza pollice, come Orbe senza tello, Messina senza stretto, lupo senza pelo e senza vizio. Non ci sarà mai un’ultima vittoria della Fiorentina così come non c’è stata l’ultima cena, perché Cristo non può essere vissuto solo pranzando o facendo spuntini. Quando succede che asfaltiamo il Milan anche Tommaso è più contento, perché se Galliani se ne va dallo stadio sbattendo la porta e sbraitando “Non c’è più religione”, Tommaso uscirà un’ora prima. Insomma, Fiorentina e Firenze vi amo, vi ho sempre amato, vi amo da generazioni. Mio padre vi amava prima di me, mio nonno prima di lui.