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martedì 1 maggio 2012

For-maggio, for-tuna, for-ever


Il primo maggio ha perso molto del suo significato, e lo ha fatto come noi a Bergamo, ma senza per-fortuna l'uso di nessun tanke, un po’ invece per colpa della crisi che ha trasformato i lavoratori in ex, e un po’ per colpa delle liberalizzazioni che hanno costretto quei pochi rimasti, a lavorare, mentre tra i superstiti del naufragio dell’occupazione, quelli che oggi partecipano alla festa, risulteranno per gli archeologi di domani, preziosi fossili rinvenuti e catalogati come ultimi esemplari eretti di una categoria ormai piegata a novanta gradi. Il gruppo Coop, per esempio, ha utilizzato le pagine dei quotidiani per ricordare alla propria clientela, che i suoi punti vendita rimarranno chiusi, così da trasformare il sale del primo maggio in un primo marketing per vendere meglio il primosale, per valorizzare cioè un tonno trasversale a tutti i marchi, in uno invece, che esposto su scaffali così socialmente sensibili, mantiene meglio il sapore genuino dell'impegno sindacale, e opportunamente conservato sottolio, mantiene intatto il ricordo delle battaglie operaie volte a fissare l’orario lavorativo quotidiano in otto ore, che se da una parte è oggi un tema che fa anche un po' di tenerezza, in un mondo di sfruttatori da una parte e di flessibilità dall'altra, è comunque un tema così tenero che si taglia con un grissino. E per un lavoratore ricattabile, come del resto un presidente dal procuratore di un qualsiasi onesto lavoratore della pedata, visti certi contratti interinali e paraintestinali, non c'è lavoratore più precario al mondo di quello del tifoso però, costretto ad essere dipendente per tutta la vita di una società senza nemmeno potersela scegliere, senza nessuna garanzia occupazionale vista la facilità con la quale le società scompaiono o vengono penalizzate dai comportamenti dei propri giocatori, senza ferie visto che il calcio mercato impazza minando spesso gli equilibri delle vacanze di intere famiglie, gente veramente malata ma senza nessuna cassa malattia, in un calcio che si è ammalato pensando solo a fare cassa, e come trattamento di fine rapporto solo la sepoltura, senza contributi per una pensione che non arriverà mai, e con la mensa che non varia mai il suo menù, offrendo sempre lo stesso spezzatino che si prepara la sera per il cane, peggio di un contratto a progetto vista l'aggravante dell'eventualità di essere dipendente di una società che non ha nessun progetto, con l'incubo professionale della retrocessione, pagando invece di percepire un compenso. Mi si perdonerà la poca sensibilità per il sociale, se questo inizio di maggio però mi increspa la fronte di più per una classifica, la mia, che occupa ancora per poco la decina dei quaranta, che se per quella Viola sarebbe buona cosa lasciare, nella mia toccherà irrimediabilmente i cinquanta con molta meno enfasi, supportata invece da quella sensazione fastidiosa di smarrimento di quando si perde definitivamente qualcosa, e allora mi viene in mente la partita di Cagliari dell'ottantadue dove salutammo uno scudetto ancora oggi rimpianto, e quindi saluterò i quaranta sperando almeno che i cinquanta non siano un fallimento come invece sarebbe arrivato in seguito con Cecchi Gori, risultando molto peggiore di quella triste trasferta di Cagliari, e allora un po' mi consolo.