Il
primo maggio ha perso molto del suo significato, e lo ha fatto come
noi a Bergamo, ma senza per-fortuna l'uso di nessun tanke, un po’
invece per colpa della crisi che ha trasformato i lavoratori in ex, e
un po’ per colpa delle liberalizzazioni che hanno costretto quei
pochi rimasti, a lavorare, mentre tra i superstiti del naufragio
dell’occupazione, quelli che oggi partecipano alla festa,
risulteranno per gli archeologi di domani, preziosi fossili rinvenuti
e catalogati come ultimi esemplari eretti di una categoria ormai
piegata a novanta gradi. Il gruppo Coop, per esempio, ha utilizzato
le pagine dei quotidiani per ricordare alla propria clientela, che i
suoi punti vendita rimarranno chiusi, così da trasformare il
sale del primo maggio in un primo marketing per vendere meglio il
primosale, per valorizzare cioè un tonno trasversale a tutti i
marchi, in uno invece, che esposto su scaffali così
socialmente sensibili, mantiene meglio il sapore genuino dell'impegno
sindacale, e opportunamente conservato sottolio, mantiene intatto il
ricordo delle battaglie operaie volte a fissare l’orario lavorativo
quotidiano in otto ore, che se da una parte è oggi un tema che
fa anche un po' di tenerezza, in un mondo di sfruttatori da una parte
e di flessibilità dall'altra, è comunque un tema così
tenero che si taglia con un grissino. E per un lavoratore
ricattabile, come del resto un presidente dal procuratore di un
qualsiasi onesto lavoratore della pedata, visti certi contratti
interinali e paraintestinali, non c'è lavoratore più
precario al mondo di quello del tifoso però, costretto ad
essere dipendente per tutta la vita di una società senza
nemmeno potersela scegliere, senza nessuna garanzia occupazionale
vista la facilità con la quale le società scompaiono o
vengono penalizzate dai comportamenti dei propri giocatori, senza
ferie visto che il calcio mercato impazza minando spesso gli
equilibri delle vacanze di intere famiglie, gente veramente malata ma
senza nessuna cassa malattia, in un calcio che si è ammalato
pensando solo a fare cassa, e come trattamento di fine rapporto solo
la sepoltura, senza contributi per una pensione che non arriverà
mai, e con la mensa che non varia mai il suo menù, offrendo
sempre lo stesso spezzatino che si prepara la sera per il cane,
peggio di un contratto a progetto vista l'aggravante dell'eventualità
di essere dipendente di una società che non ha nessun
progetto, con l'incubo professionale della retrocessione, pagando
invece di percepire un compenso. Mi si perdonerà la poca
sensibilità per il sociale, se questo inizio di maggio però
mi increspa la fronte di più per una classifica, la mia, che
occupa ancora per poco la decina dei quaranta, che se per quella
Viola sarebbe buona cosa lasciare, nella mia toccherà
irrimediabilmente i cinquanta con molta meno enfasi, supportata
invece da quella sensazione fastidiosa di smarrimento di quando si
perde definitivamente qualcosa, e allora mi viene in mente la partita
di Cagliari dell'ottantadue dove salutammo uno scudetto ancora oggi
rimpianto, e quindi saluterò i quaranta sperando almeno che i
cinquanta non siano un fallimento come invece sarebbe arrivato in
seguito con Cecchi Gori, risultando molto peggiore di quella triste
trasferta di Cagliari, e allora un po' mi consolo.