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martedì 3 settembre 2019

La sagra del cinghiale


Da Capalbio. E nel finale di calciomercato abbiamo preso coso. Forse l’obiettivo di Pradé era il polpo De Paul prima che si accorgesse che è morto. All’Ultima Spiaggia, là dove è nato il Pentapartito, ieri ci si chiedeva quale sarà la prima panchina a saltare tra quella di Di Francesco e Montella. La differenza tra un Conte e un Barone è che il primo fa le consultazioni e il secondo i giri di campo. E senza farla tanto lunga su chi è arrivato, che siano prestiti, svincolati, terze scelte o vecchie glorie, Pradè ha solo bisogno di un correttore di bozze. L’importante è che per me l’estate finisce solo quando mi rimetto i jeans. Quando poi mi ha chiamato il Bambi perché voleva analizzare il mercato, impaurito dalla lotta per la retrocessione, ho preso la palla al balzo e gli ho mandato un culo. L’unico accenno di fatto è una speranza, quando ho saputo di Icardi a Parigi ho sperato che ci ridassero la Gioconda. Mentre invece ci rimane un monte ingaggi più alto a fronte di una squadra che non è stata rafforzata. Rammarichi? Uno, ma perché non ce l’abbiamo anche noi una piattaforma dove votare? Almeno per dire No a Ghezzal. Domani c’è la sagra del cinghiale, nel borgo medioevale, pochi piatti, cinghiali della riserva di Monteti, e vini locali. Invece di scegliere a quale prossimo allenatore dare la colpa mi concentrerò a scegliere tra il cinghiale alla cacciatora, la bistecca, gli ammazzafegati (salsicce di cinghiale e fegato cotte sulla brace), cotiche e fagioli. Il Bambi dice che dopo aver lasciati scoperti i ruoli chiave, e visti gli arrivi di Ghezzal, Caceres Dalbert, dopo aver letto per mesi di Suso, De Paul, Berardi, Politano, e dopo i botti del 10 agosto, non c’era bisogno di arrivare fino a Capalbio per gli ammazzafegati.

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