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giovedì 18 maggio 2017

Quando vincere diventa una condanna



Capisco il pensiero fisso al nuovo allenatore, ma non per questo bisogna tralasciare tutto il resto. Allarghiamo l’orizzonte e pensiamo se nelle prime notti di caldo è meglio soffrire sotto le coperte, oppure mettere fuori un piede col rischio che ce lo mangi un mostro, di quelli con la panza e l'accento salentino appena appena pronunciato. Tutta la sofferenza innescata da Dani Alves e Bonucci la coltiviamo per l’anima de li mortacci sua e di chi ce l’ha fatto fare di tifare la Lazio. Gufare non è la medicina, la fica si. Forse. E così come pensate al nuovo allenatore invece di gestire la temperatura corporea nelle prime notti di caldo, fate lo stesso errore quando pensate al terzino destro mentre all’orizzonte si profila il triplete della Juve. Brutte sensazioni, del resto chi è che non ha avuto una ragazza gobba che quando la vedevi a giro dopo essersi lasciati era chiaro che avesse una gran voglia di piangere e di venire ai nostri piedi a chiedere scusa. Però la dignità la costringeva a strusciarsi, vogliosa, al nuovo fidanzato. Siamo proprio nati per soffrire, loro vincono sei scudetti consecutivi più tre Coppe Italia consecutive anche quelle, roba che fa pendant, vittorie tono su tono (in attesa di Cardiff), grazie agli arbitri, e a noi basta fare un abuso edilizio in zona demaniale sottoposta a vincolo paesaggistico che arrivano subito i vigili a rompere i coglioni. Consoliamoci pensando alla classifica dei rigori a favore degli ultimi cinque anni, e soprattutto che vincere la Coppa Italia  per un gobbo è come per noi vincere 5 € al Gratta e Vinci. Che per noi andare a letto rimane il momento più emozionante della giornata. Che prima di addormentarsi ci rifugiamo nel pensiero proletario di una ridistribuzione più equa delle soddisfazioni sportive. Che magari troviamo finalmente anche la soluzione per combattere la polvere della libreria. Perché alla fine vincere tanto come fa la Juve diventa una necessità. Voglio credere che vince tanto non tanto per vincere. I festeggiamenti non tanto per festeggiare. Di fatto una condanna. Rimanere abbracciati solo per non perdere la priorità acquisita insomma.

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