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lunedì 29 maggio 2017

Firenze non è Castagneto Carducci



Ieri sono stato a trovare la Contessa Cinzano, una donna volgare e poco emancipata, sulla battigia di Pianetti avrebbe voluto intavolare una discussione sulla libertà delle donne e sull’autoaffermazione delle stesse come risposta alla conta chiamata dai Della Valle dall’alto della loro scurrilità, se non fosse che doveva andare a lavare i piatti. Tra nobili, capitani d’industria e capitani senza rinnovo di contratto, oggi è sempre più di moda usare espressioni popolari al limite del turpiloquio. Mi ha lasciato con il rammarico che l’ha accompagnata in questi lunghi mesi impegnata nella preparazione della prova costume; “Ma le magre che vengono in palestra che cazzo vogliono?”. Sono tornato giusto in tempo per l’ultima della Viola, e per l’occasione ho indossato il foulard perché quando tira il vento del cambiamento ai vertici societari, tra passi indietro, divertimento a momenti e futuro incerto, il rischio è quello del torcicollo. In macchina mi ritornavano in mente le ultime parole della contessa su Diegone, che secondo lei se li porta bene gli anni malgrado tutti i colpi che gli mandano a Firenze. Poco prima aveva apostrofato una zanzara dandole della troia. So che Firenze non è Castagneto Carducci, ma se dal finestrino si vede il mare non si può considerare un viaggio a vuoto. A vuoto invece è stato il viaggio dentro a questa stagione, con l’aggravante di essersi fatti soffiare l’accesso all’Europa League dal Milan di Vincenzino. Roma seconda, e Crotone incredibilmente salvo a spese dell’Empoli. La cosa più bella del primo tempo è stata la luna. Del secondo l’esordio di Hagi. Dopo tutti gli esperimenti da apprendista stregone, ultimo Salcedo ala sinistra, è stato un campionato dove mi sono sentito morire così tante volte che quando capiterà davvero non ci crederò più. Voltiamo pagina con l’addio di Gonzalo e quello dell’allenatore. Anch’io non ho dormito stanotte per l’ultima di Sousa, Francè.

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