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martedì 4 settembre 2012

Quelle fave Diladdarno

Tra il bollino rosso di una sconfitta e quello messo invece sulle partenze intelligenti, nella coda dell’estate napoletana non c’è traccia di rabbia nemmeno per la sabbia sulla quale abbiamo dimostrato di muoverci bene come un quad, senza neanche fare la coda per il rientro perché la palla girava libera che era un piacere, figuriamoci se c’è rabbia per una sconfitta che non ha l’aspetto di un castello di sabbia e nemmeno quello dell’illusione di un castello in aria, mentre nell’aria si respirano i sogni fabbricati nel castello dei Della Valle, dentro al quale adesso abita una principessa vestita di Viola che quei sogni li vuole trasformare in una splendida realtà, anche se intanto si è rifiutata di baciare quel rospo cecato di Marotta. Mai sconfitta fu digerita meglio neanche fosse stata a macerare tutta la notte nel masochismo, perché racconta nitidamente di un episodio casuale più che di uno impanato nel demerito, e anche là dove abbiamo mostrato di aver bisogno di crescere, su quella sabbia di riporto abbiamo lasciato l’impronta profonda delle grandi potenzialità. E’ questo che ci lascia sereni come lo svincolato Matteo, una consapevolezza sconosciuta fino ad un inizio di agosto fa quando ancora giravano nasi finti e parrucche da pagliaccio, lassù dove le pernici erano la gramigna ancora da estirpare dal vecchio ciclo. Una sconfitta spensierata come il fischiettare del garzone che portava il pane, era dai tempi del primo progetto Avanti Cristo, da prima per intendersi che Bettega organizzasse le déjeuner sur l’herbe nel giardino dei Getsemani, ma è proprio dopo il tradimento di una sconfitta immeritata che Firenze ritrova la sua squadra, e Jovetic la parola, entrambi riconoscendo una grande Fiorentina. C’è stato però chi nella lettiera del San Paolo, prima ha ribadito il concetto del “non dire gatto” e poi ha lasciato un bisognino come a marcare il territorio dello sgarbo, uno scazzo che Diladdarno è sentito un po’ come una di quelle offese che fanno parte delle dinamiche di quartiere, perché quella bucaiola della dea bendata alla fine l’ha data a un altro, ci ha fatto un monte di moine ma poi i favori gli ha riservati al pubblico napoletano, bucaiola, perché se proprio si voleva togliere uno sfizio partenopeo, Montella non è che fosse friulano dentro, allora la voce è rimbalzata fino in via dell’Orto, e prima di vedere l’omo morto perché la sabbia del San Paolo è troppo bassa, noi che in San Frediano si sa contare solo fino al lampred-otto, quando la dea s’è bendata per concedersi al Napoli, intanto gli s’è toccato le poppe.