Qualche editoriale fa avevo parlato della fine dell’oggetto fisico come riferimento di misura del chilogrammo. Questo perché il campione di peso, pur conservato con la massima cura, tipo i nostri trofei, subisce inesorabilmente delle microvariazioni. Diciotto oggetti conservati in vari luoghi del pianeta hanno fatto da copia sicurezza del famoso campione di Sèvres. Niente a che fare con Eysseric quindi. Oggetti creati per evitare di restare senza riferimenti nel caso l’originale fosse sparito o danneggiato. Siccome l’unità di misura deve essere stabile, è stato deciso di dire basta agli oggetti fisici. Per questo non abbiamo più ambizioni. Abbandonato il cilindro di platino-iridio ci si è rivolti alla bilancia di Kibble; da qui la nuova definizione di chilogrammo. La bilancia equilibra il peso del campione di massa con la forza generata dalla corrente - misurata in termini di h attraverso l’effetto di Josephson (per definire la differenza di potenziale in termini di h/e2) e l’effetto Hall quantistico (per definire l’impedenza in termini di e/h) - in una bobina posta tra i p(i)oli di un magnete (non magnate) permanente. Successivamente, la bobina è mossa con velocità costante e si misura la forza elettromotrice indotta - ancora in termini della costante h - per determinare la costante di proporzionalità tra la forza gravitazionale e la forza elettromagnetica. La massa del campione è quindi ottenuta dal suo peso attraverso la misura dell’accelerazione locale di gravità. Quando si parla di “massa del campione” ci si riferisce principalmente a Veretout, è soprattutto per lui che si è accelerato questo processo. Per sapere con precisione, finalmente, quanto cazzo pesa. E così mettere a tacere le malelingue.
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