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martedì 6 gennaio 2015

Maremma maiala


Era in Maremma Pino Daniele quando si è sentito male, forse per darci modo di fare davvero un buon uso di quell’espressione tipica tra il volgare e lo slang. Non solo quindi perché era la terra bellissima lungo la strada tra San Donato e Magliano in Toscana dove da anni aveva deciso passare parte del suo tempo. Il destino ha voluto che fosse anche la terra dove si sarebbe guastato irrimediabilmente anche quell’amplificatore malandato con il quale faceva suonare le sue chitarre. In compenso ci lascia tanta bella musica, e va ricordato come uno degli artefici della rivoluzione musicale napoletana. Non certo come Bruscolotti. Capace cioè di oltrepassare a piè pari quella melodia pura, sogno, cuore e amore, pizza e Vesuvio, lontana dai problemi veri di Napoli. Per mostrare una Napoli ben diversa, e per non sposare  la Tatangelo. Una musica che si alimenta di Africa, Oriente, Sudamerica, blues e jazz, con quella voce che sembrava uno strumento e che coglieva umori, atmosfere e stili di una Napoli che nessuno aveva colto prima di lui a parte la Camorra. Pino si era inventato qualcosa che prima non c’era, come Arrigo Sacchi che ha vinto perché pensava in napoletano e faceva giocare gli olandesi. Pino autodidatta capace di suonare con il mondo. Anche con Pat Metheny. Lo ricordo con un po’ di commozione perché è stato per certi tratti la colonna sonora negli anni della mia giovinezza, anche quando era ancora il bassista dei Napoli Centrale. Oggi il mio bassista è Pizarro. Capelli bianchi e barba scura, tanto che quando l’ho visto al concerto dell’ultimo dell’anno mi sono chiesto se si tingesse i capelli. Sono contento di aver scherzato con lui quell’ultima volta mentre abbracciava la sua chitarra come se fosse una donna. Se ne è andato sostanzialmente per colpa della maleducazione, perché la morte non lo ha avvertito. Così oggi rivaluto la maleducazione di chi non lascia il posto a sedere sull’autobus. Perché c’è maleducazione e maleducazione. Pino Daniele era più forte anche di Maradona e Napoli oggi piange davvero. Chissà se dirà a Massimo Troisi “Scusate il ritardo”, senza che Massimo si guardi a sinistra e destra prima di rispondergli “Pino, so’ uno solo io”. E poi perché siamo un po’ tutti neri a metà. Anche io, visto che pur vivendo in una regione dove si fanno prosciutti eccellenti, in una nazione dove ce ne sono di ottimi come a San Daniele, Norcia, o a Parma, dove oggi a proposito di cuori che si fermano, ricomincerà a battere il nostro, io preferisco quello spagnolo. Nero a metà come la Viola che vince solo fuori casa. Nero a metà come l’Oltrarno che è la metà più bella. Nero a metà come Richards che non gioca o come Marin che ce n’hanno dato solo una metà. E cosa c’entra allora Pino Daniele con Peppino di Capri? O il Pata Negra con la Cinta Senese? Così alla fine mi toccherà morire a Piacenza.