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lunedì 29 luglio 2013

Un puzzle di ricordi

Se è vero che un cannibale può morire anche per un’ intossicazione alimentare dopo essersi mangiato, per Vargas il problema è più di forma, e non solo quella fisica, la colpa è da ricercare in quel viziaccio di mangiare con le mani, specie quando si tratta del pollo che utilizza in dosi massicce, la causa principale della sua attuale svalutazione si trova in una sostanziale mancanza di bon ton, quella che lo ha portato a ribaltarsi e ad essere oggi un giocatore senza mercato, uno che prima di abbandonare le posate era il miglior crossatore al mondo, diventato uno che non passa mai la palla e neanche la canna, e tutto per colpa di quelle dita appiccicose tipiche di chi mangia il pollo con le mani e che ragiona con i piedi. E’ proprio vero che bisognerebbe nascere vecchi come Bergomi a 16 anni e poi diventare giovani come si crede ancora Paola Ferrari, perché a proposito della marijuana che Vargas non passa mai, e della sua utilità in alcune terapie come quelle per alleviare il dolore dei malati di cancro, solo oggi mi rendo veramente conto di quanti miei compagni dell’Istituto d’Arte erano in fin di vita e io non me ne sono mai accorto. A Firenze comunque, giovani o vecchi siamo gente diretta come l’Alta Velocità, fuggiamo da certi rapporti regionali dove si fanno tutte le fermate, non ci piacciono le tappe d’avvicinamento al nocciolo della questione, magari ruvidi e non accomodanti, ma comunque senza scalo, e anche per questo i giocatori li riconosciamo a pelle, ci piacciono quelli immediati, impulsivi, quelli che si danno, istintivi proprio come noi un attimo primo di addentare il panino con il lampredotto perché intuiamo che ci piacerà. E Diladdarno non a caso, Oltrarno perché c’è sempre un’altra parte dove mettere quelli che invece sono formali, convenzionali come i buoni pasto, quelli artificiosi anche quando non devono disinnescare le bombe. Sarà per questo che a Firenze e in special modo in San Frediano ci piace così tanto Antonio Conte, perché alla fine è spontaneo come un ictus. I ricordi intanto affiorano come un periscopio che scandaglia il Ponte alla Carraia, ricordi come puzzle che si montano e poi si smontano, quando inevitabilmente se ne perdono i pezzi, oggi ne ho ritrovato uno tra Borgo San Frediano e l’inizio di via de’ Serragli, una tessera di una parte di Firenze che vive tutti i giorni smontandosi e rimontandosi proprio come un puzzle, perché la Milena e la Liliana, le zie di via del Campuccio che non ci sono più, avevano un banco in San Lorenzo dove per un’ estate ho lavorato, un banco che sapeva di cuoio fiorentino, quando ancora si parlava italiano, quando c’era Marino Groovy, e alle spalle del banco c’era un Mercato Centrale più sostenibile, non certo quello dove l’altro giorno il Perini  ha fatto un conto di oltre 300 euro a dei francesi che hanno pensato bene di non darglieli e di lasciargli tra le altre cose quella cinta senese che gli deve esser sembrato un ladrocinio come quello del Monte dei Paschi. Sono molto più onesti in Sardegna allora, perché mentre noi cerchiamo di fregare il turista senza tanti riguardi, loro grazie all’anonima sequestri hanno stabilito almeno una convenzione che consente di vendere sull’isola solo auto con la cintura di sicurezza nel bagagliaio. Più la guardo e più mi accorgo che la faccia della città è davvero cambiata, la pelle è più olivastra ed ha il profumo del kebab, gli occhi sono quelli orientali dei ristoranti cinesi, i rapporti sono crudi come il sushi che imperversa come prima succedeva invece con il baccalà dentro alle vasche di alluminio fuori dai negozi dei pizzicagnoli, non c’è più un naso aquilino ma lineamenti multietnici, il giovedì delle badanti ha scalzato i fiorentini dalle panchine delle piazze, mentre i peruviani  hanno sostituito la festa del grillo a Porta Romana, argentieri e corniciai sono solo un ricordo incorniciato e poi gettato dentro al nastro d’argento. E così quando voglio andare a trovare un fiorentino vado a Trespiano a trovare il babbo. Poi torno in “buca” e chi c’è c’è, tanto a me basta sognare per vincere, perché un vincitore non è altro che un sognatore che non si è arreso, l’ho imparato all’Istituto d’Arte, ad usare cioè gli strumenti più utili nella vita, perché l’importante è fare anche a costo di sbagliare, per questo in fondo alle matite c’è sempre una gomma.