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giovedì 27 dicembre 2012

Pagellone

Lo farò lo stesso anche se dopo tre voti puzza, anche se il pagellone puzza sempre dalla testa, anche se in certi casi ci si ruzza per via di quei micidiali colpi di testa con i quali Gonzalo e compagni hanno fatto la festa a difese avversarie così dolci da finire in un qualche altro pagellone d’acqua dolce. O a fette, si, difese fatte a fette sempre per lo stesso motivo, ma questa volta finite in un pagellone di una trota non proprio salmonata, ma anagrammata in salmi per diventare torta. E lo farò non tanto perché ho la luna storta o perché non c’è più Luna, ma lo farò perché non è classificato di fondale ma d’alta classifica, perché un pagellone pelagico che si rispetti è si un mare aperto di speranze, ma è anche un mare pieno di giocatori pelati, perché non è di scoglio ma capace di superare lo scoglio delle perplessità di tifosi che non sapevano se era meglio avere in panchina Franco Scoglio o in pancina uno spaghetto allo scoglio. Un pagellone che supera agevolmente la barriera corallina, come Aquilani supera quella su punizione, forse giallo come il bizzarro destino di Pizarro e non rosso come l’oro del mare, un pagellone che sguazza è vero sulla barriera corallina, ma sguazza anche sulla coralità del gioco di squadra, soprattutto di una squadra che dimostra di avere fegato, cuore e polmoni, e quindi anche una buona coratella, buona e bella come del resto l’idea del calcio di Vincenzino Montella. Mi cimento perché ci nuota dentro la passione, un pagellone felice come Centofanti dove i sogni sono tanti e non sono infranti sul cemento, di quel duro rosicare che era diventato di Firenze il vero risorgimento, perché adesso risale le rapide del cuore per andare sempre più in alto, per schiodare le speranze e i piedi da quei consigli di tenerli saldamente a terra o troppo posati sull’asfalto, o come il pensiero un po’ travisato del Jannotti che arrangiato per l’occasione dice che il sogno per lo scudetto della Fiore non è una moda del momento ma nasce come un fiore sull’asfalto e sul cemento. Lo vedo dal pontile e non dalla pontellizzazione, dall’alto del campanile o da piazza stazione, e nell’acquario della fantasia getto ami per tirare su sogni tricolorati. C’è chi lo divide in reparti, chi insomma lo squama per capire meglio quanto lo ama, e chi  come me fa come i sarti, e nella notte si cuce il sogno sul petto, e alla fine è proprio il suo il pagellone a risultare perfetto. E per esserlo davvero non darò voti ne alla difesa, ne al centrocampo e nemmeno all’attacco, perché per paura che il sogno finisca preferisco intanto togliere la lisca, che potrebbe tradirlo come un’irruzione a chi vorrebbe giocarselo in una bisca, senza la lisca perché tutto proceda per il giusto verso, senza cioè che niente possa rimanerci di traverso.