Lo
farò lo stesso anche se dopo tre voti puzza, anche se il pagellone
puzza sempre dalla testa, anche se in certi casi ci si ruzza per via di
quei micidiali colpi di testa con i quali Gonzalo e compagni hanno fatto
la festa a difese avversarie così dolci da finire in un qualche altro
pagellone d’acqua dolce. O a fette, si, difese fatte a fette sempre per
lo stesso motivo, ma questa volta finite in un pagellone di una trota
non proprio salmonata, ma anagrammata in salmi per diventare torta. E lo
farò non tanto perché ho la luna storta o perché non c’è più Luna, ma
lo farò perché non è classificato di fondale ma d’alta classifica,
perché un pagellone pelagico che si rispetti è si un mare aperto di
speranze, ma è anche un mare pieno di giocatori pelati, perché non è di
scoglio ma capace di superare lo scoglio delle perplessità di tifosi che
non sapevano se era meglio avere in panchina Franco Scoglio o in
pancina uno spaghetto allo scoglio. Un pagellone che supera agevolmente
la barriera corallina, come Aquilani supera quella su punizione, forse
giallo come il bizzarro destino di Pizarro e non rosso come l’oro del
mare, un pagellone che sguazza è vero sulla barriera corallina, ma
sguazza anche sulla coralità del gioco di squadra, soprattutto di una
squadra che dimostra di avere fegato, cuore e polmoni, e quindi anche
una buona coratella, buona e bella come del resto l’idea del calcio di
Vincenzino Montella. Mi cimento perché ci nuota dentro la passione, un
pagellone felice come Centofanti dove i sogni sono tanti e non sono
infranti sul cemento, di quel duro rosicare che era diventato di
Firenze il vero risorgimento, perché adesso risale le rapide del cuore
per andare sempre più in alto, per schiodare le speranze e i piedi da
quei consigli di tenerli saldamente a terra o troppo posati
sull’asfalto, o come il pensiero un po’ travisato del Jannotti che
arrangiato per l’occasione dice che il sogno per lo scudetto della Fiore
non è una moda del momento ma nasce come un fiore sull’asfalto e sul
cemento. Lo vedo dal pontile e non dalla pontellizzazione, dall’alto del
campanile o da piazza stazione, e nell’acquario della fantasia getto
ami per tirare su sogni tricolorati. C’è chi lo divide in reparti, chi
insomma lo squama per capire meglio quanto lo ama, e chi come me fa
come i sarti, e nella notte si cuce il sogno sul petto, e alla fine è
proprio il suo il pagellone a risultare perfetto. E per esserlo davvero
non darò voti ne alla difesa, ne al centrocampo e nemmeno all’attacco,
perché per paura che il sogno finisca preferisco intanto togliere la
lisca, che potrebbe tradirlo come un’irruzione a chi vorrebbe giocarselo
in una bisca, senza la lisca perché tutto proceda per il giusto verso,
senza cioè che niente possa rimanerci di traverso.