In
un momento di crisi economica come questo, se proprio devo spendere un
nome faccio quello di Borja Valero, e pago con la carta del suo credito
sempre in crescita, un giocatore che ha dimostrato carenze nella
ricrescita, ma solo per chi non ama la pulizia del gioco e propende
per manovre caotiche sviluppate da controfigure spesso ipertricotiche. E
se investo parole e giudizi su di lui non è solo perché ritengo sia
stato l’uomo copertina di questa Fiorentina, ma perché è riuscito a
farlo con la facilità dei grandi, che è la stessa con la quale si è continuato ad ammonire Pizarro, quella dei grandi stronzi, prima diventata consuetudine e poi sgarro, una stortura al
buonsenso, una tortura alla decenza fatta con la naturalezza tipica che si ritrova radicata nel comparto conservaturiero del tonno, dove il
giallo è di casa in quanto pinna, mentre nel comparto di centrocampo,
Valero ha dimostrato di essere uno
dei più grandi, insuperabile proprio
come il tonno insuperabile, senza mai un accenno di mattanza o
cassanata, ma con quel modo discreto che è tipico proprio dell’essere grande,
perché per dipingere una grande stagione non ci vuole un giocatore
grande ma un grande giocatore, e quel suo modo di essere superiore si
riassume in maniera eclatante nel vezzo molto intimo di portare i
capelli. Un modo che riconosco appartenermi come anche le more al bosco,
perché Valero è uomo discreto, capace di tenersi tutti i capelli
dentro, privo cioè di certi inutili orpelli, sia nel gioco che nel
differenziarsi da chi pur avendone tanti non si può certo definire
“bellicapelli”. Come chi fa addirittura la cresta al cattivo gusto
rizzando la sua in maniera arrogante come un gallo, o come tutti quei
saccenti che mettono gli accenti su personalità adiacenti al buongusto,
per certi versi indecenti, qualche volta spioventi da mondi paralleli
che non si incontreranno mai con quelli di un campione vero come Valero,
che si è dimostrato sempre umile nell’atteggiamento e ottimo nel
rendimento, in poche parole affidabile, come un luogo comune facilmente
abbordabile ci suggerirebbe di dire, affidabile come una Golf e al
contrario di chi invece è poco affidabile come lo era la colf di Kharja
che perdeva
sempre il treno giusto per fare le pulizie. E tra le tanti
luci che brillano in città non c’è solo la Fiorentina di Borja Valero,
perché Firenze in questo periodo si veste di luci particolari grazie al
Firenze Light Festival, ideato per valorizzare il patrimonio
architettonico con spettacoli di luci e giochi cromatici, gli stessi con
la quale la Fiorentina è stata capace di abbagliarci, e la mia anima
faziosa, quella cioè forgiata sulla riva sinistra dell’Arno mi spinge a
sottolineare solo la spettacolare videproiezione sulla facciata della
Basilica di Santo Spirito, e lo fa con un campanilsmo così terra terra
da far invidia anche alla palla rasoterra che contraddistingue la
manovra Viola, sempre agli antipodi di qualsiasi campanile o traiettoria
troppo arcuata. Luci della città che come quelle di Charlie Chaplin mi
vedono vagabondo di un sogno Diladdarno, che invece di incontrare una
fioraia cieca incontra la passione cieca per la Fiorentina.

