.

.

venerdì 28 dicembre 2012

Luci della città




In un momento di crisi economica come questo, se proprio devo spendere un nome faccio quello di Borja Valero, e pago con la carta del suo credito sempre in crescita, un giocatore che ha dimostrato carenze nella ricrescita, ma solo per chi non ama la pulizia del gioco e propende per manovre caotiche sviluppate da controfigure spesso ipertricotiche. E se investo parole e giudizi su di lui non è solo perché ritengo sia stato l’uomo copertina di questa Fiorentina, ma perché è riuscito a farlo con la facilità dei grandi, che è la stessa con la quale si è continuato ad  ammonire Pizarro, quella dei grandi stronzi, prima diventata consuetudine e poi sgarro, una stortura al buonsenso, una tortura alla decenza fatta con la naturalezza tipica che si ritrova radicata nel comparto conservaturiero del tonno, dove il giallo è di casa in quanto pinna, mentre nel comparto di centrocampo, Valero ha dimostrato di essere uno dei più grandi, insuperabile proprio come il tonno insuperabile, senza mai un accenno di mattanza o cassanata, ma con quel modo discreto che è tipico proprio dell’essere grande, perché per dipingere una grande stagione non ci vuole un giocatore grande ma un grande giocatore, e quel suo modo di essere superiore si riassume in maniera eclatante nel vezzo molto intimo di portare i capelli. Un modo che riconosco appartenermi come anche le more al bosco, perché Valero è uomo discreto, capace di tenersi tutti i capelli dentro, privo cioè di certi inutili orpelli, sia nel gioco che nel differenziarsi da chi pur avendone tanti non si può certo definire “bellicapelli”. Come chi fa addirittura la cresta al cattivo gusto rizzando la sua in maniera arrogante come un gallo, o come tutti quei saccenti che mettono gli accenti su personalità adiacenti al buongusto, per certi versi indecenti, qualche volta spioventi da mondi paralleli che non si incontreranno mai con quelli di un campione vero come Valero, che si è dimostrato sempre umile nell’atteggiamento e ottimo nel rendimento, in poche parole affidabile, come un luogo comune facilmente abbordabile ci suggerirebbe di dire, affidabile come una Golf e al contrario di chi invece è poco affidabile come lo era la colf di Kharja che perdeva sempre il treno giusto per fare le pulizie. E tra le tanti luci che brillano in città non c’è solo la Fiorentina di Borja Valero, perché Firenze in questo periodo si veste di luci particolari grazie al Firenze Light Festival, ideato per valorizzare il patrimonio architettonico con spettacoli di luci e giochi cromatici, gli stessi con la quale la Fiorentina è stata capace di abbagliarci, e la mia anima faziosa, quella cioè forgiata sulla riva sinistra dell’Arno mi spinge a sottolineare solo la spettacolare videproiezione sulla facciata della Basilica di Santo Spirito, e lo fa con un campanilsmo così terra terra da far invidia anche alla palla rasoterra che contraddistingue  la manovra Viola, sempre agli antipodi di qualsiasi campanile o traiettoria troppo arcuata. Luci della città che come quelle di Charlie Chaplin mi vedono vagabondo di un sogno Diladdarno, che invece di incontrare una fioraia cieca incontra la passione cieca per la Fiorentina.