Anche
il mio è un buon Natale in gnam gnam style, allineato così agli auguri
ufficiali della società, con un disegno al posto del video, ma
soprattutto in grado di trasformare il ritmo in ingredienti della
memoria, per ricordare i sapori del duemiladodici che ci hanno portato
fino quasi all’eccellenza. Il boccone amaro per una squadra squassata,
sgassata di professionalità e senza più le interiora, senza cuore, palle
e vergogna che servono per indossare la maglia Viola senza fare la fine
delle cailles en sarcophage,
era già finito nella spazzatura di una rivoluzione rosolata bene bene
insieme alle pernici, spennelllate di tanti benserviti, là alle pendici
di una discesa negli inferi della passione. E così sono cominciati ad
arrivare i sapori veri che Macia e Pradé hanno tirato fuori dal
talismano della felicità, in una cucina dove il genio è capace di
risolvere una ricetta anche mettendo l’ingrediente di successo
all’ultimo tuffo, come alla prima di campionato, o come lo zafferano
della vittoria a Milano che ha colorato di giallo la scelta di Montolivo
più di un libro di Faletti, di un’asticella o di quella riconoscenza
alla quale il giocatore aveva messo dei bei paletti. Il passa parola si è
dimostrato come sempre la miglior pubblicità, e insieme alla classifica
oggi ci racconta che a Firenze si mangia bene, una grande cucina che
mantiene intatti i sapori di casa e l’imbattibilità, dove gli avversari
pagano spesso un conto salato, tante portate consecutive e gustose come
le vittorie, solo tre serate storte, di quelle però che non sono proprio
da buttare via, e poi la bellezza della mise en table
con la cura della manovra dalla cucina al piatto, con un gioco sontuoso
e mai piatto, mentre con la lentezza nel capire questa nuova
dimensione, di più di qualcuno non capace a fare il tifo ma con un bel
carapace, c’è venuto fuori un meraviglioso brodo di tartaruga, con
qualche brodo invece che se ne è andato troppo in fretta per passare
dalla bistecca alla cotoletta, non proprio un buongustaio se oggi i suoi
sogni sono ancora rimasti Acerbi mentre i nostri volano alti come gli
Aquilani. In questa verticale di emozioni, di varietà di sapori che
vanno dalla onesta e schietta verità dei porri, alla ricercatezza di
Pinchiorri, abbiamo chiuso l’anno con il dolce al cucchiaio di Jovetic, e
il bello è che non siamo affatto satolli ma aspettiamo la Befana che ci
porti via da questi atolli della memoria, belli si, ma comunque lontani
dalla frenesia che si respira in cucina, per riportarci con le gambe
sotto al tavolo della prossima partita. Intanto Babbo Natale ringrazia
per avergli inviato letterine a reti unificate, e così con un solo
centravanti riuscirà ad accontentare tutti, e può darsi che risparmiando
sulle spese di spedizione alla fine riesca a portarci anche
qualcun’altro. E’ tempo di auguri, di parenti, di brasati e di parenti
brasati, un solo consiglio per il dolce che non dovrà essere un
coniglio, oppure se lo è dovrà essere come quello tirato fuori dal
cilindro di una campagna acquisti magica, sennò dovrà essere un dolce un
po’ lontano dalla tradizione delle feste ma sempre presente nelle
nostre teste, senza bisogno di alcuna lievitazione, canditi e uvetta, di
glassa o strane rivisitazioni per conquistare la massa, nei secoli
fedele come i carabinieri, non si taglia a fette ma si prende a morsi,
non è un sedere, potrebbe anche essere poppa, ma perché sia ancora vento
in poppa, per un Natale come si deve ci vuole il tipico cibo
fiorentino. Perché per imbarcarsi sul sogno non basta prendere
l’aeroplanino, per il terzo scudetto c’è bisogno dell’aeropanino con il
lampredotto. E per alimentare il sogno e la tradizione non può certo volerci
un panettone, in perfetto Firenze gnam gnam style come il masticare dei
fumetti. E allora tanto, tanto lampredotto a tutti.