Un
intreccio di emozioni, si, si può definire anche così. Per una volta
almeno, diciamo pure l’ultima, diamo a quel groviglio di sensazioni dal
polpaccio muscoloso le luci della ribalta. Se c’è spazio in una canzone
di successo per ricordare le fatiche di una vita da mediano, è giusto
anche mettere in risalto certe ruvide mischie dove ci sono santi che ci
mettono persino gli stinchi. Una fase una volta indispensabile, dove si
affondava la determinazione, dove il carattere trovava pane per i suoi
denti, dove anche il rimpallo diventava protagonista, e perché no a
volte anche determinante. Il calcio moderno ha contribuito a svilupparne
nuove forme, sempre più furibonde, sempre più esasperate, perché in
quella lotta sempre più fisica oltre agli eccessi della velocità si è
aggiunto anche quello del doping. Non c’è più solo il semplice raddoppio
è arrivato come un treno l’utilizzo dell’intervento da dietro o a piedi
uniti, spesso è vero anche sanzionati con il cartellino rosso per
arginarne la foga gladiatoria. Ma a quei rigurgiti del tackle sempre
presenti bene o male nel calcio, oggi si sono aggiunti anche degli
aspetti psicologici, difficili da monitorare e sempre più importanti da
contenere per non rimanere in dieci, tanto che per un allenatore è
diventato indispensabile possedere nel suo portabagagli anche capacità
da psicologo, per riuscire a gestire un gruppo pieno di personalità
forti come l’aceto e diverse come l’aceto balsamico, per cercare quindi
di arginarne tutti gli eccessi, anche quello cosiddetto di frustrazione o
di reazione. Poi come sempre c’è chi scende da un altro pianeta e
innova, chi arriva per primo e in qualche modo coglie impreparata la
classe arbitrale che deve imparare a tradurre, a interpretare un nuovo
tipo di fallo fino a quel momento sconosciuto, come quello di Pizarro
che non è altro che un apostrofo giallo tra le parole t’ammonisco.
Insomma, in questo calcio sempre più fisico, dove la mischia, il
contrasto, il takle, lo scontro duro indirizzato a scardinare palloni
all’avversario, è diventato caratteristica addirittura saliente di una
squadra, la Fiorentina erige proprio a centrocampo il suo monumento ai
caduti, e lo fa non ha caso con il suo uomo simbolo, con quel Borja
Valero che in quanto pelato, adattissimo ad ergersi proprio a monumento
ai caduti, in un centrocampo dove però sono cadute anche le ultime
resistenze di certi partigiani del ruolo. Il centrocampo Viola si
presenta oggi perfettamente sbarbato, privo di ruvidi interpreti,
proprio di quelle figure che abbiamo voluto ricordare prima di
abbandonarle definitivamente poggiando una coppia di parastinchi sopra
la bara tattica disegnata da Montella. Qualcuno pensava non fosse
possibile accantonare una simile figura ritenendo la squadra fragile e
soggetta a subire la forza d’urto avversaria, il girone di andata ha
raccontato cose diverse dando ragione a Montella, e oggi regna solo il
bello nel cuore del nostro gioco, sembrano lontanissime anche certe
recenti esaltazioni per il ruvido Behrami. Siamo tornati ad esaltarci
per il bello, insomma, per altri tipi di intrecci di gambe.