Come
si esprime la mancanza, quel disagio del senza, dove la carenza toglie
il cielo dalla tua stanza, alla faccia di Gino Paoli, intanto prendendo
atto che senza il Viola è una domenica che sa di mattanza, ti alzi, esci
dalla camera da letto ed entri direttamente nella camera della morte,
senza passare dal bagno che è sempre occupato. E mentre rimpiangi i
tornelli che ti filtrano un po’ l’adrenalina, ma che comunque poi ti
spalancano le porte della passione, nuoti svuotato in mezzo ai
tonni, e se c’era Corvino anche senza Patronni, così dopo la messa già
t’inscatolano in un pomeriggio sottolio che è peggio della messa in
piega di donne alla riscossa, forti del fatto che senza il pallone sei
uomo dentro a una fossa, insomma, arpie che fanno prendere alla tua
domenica una brutta piega. Confessati! Ordine categorico di chi ha
sfruttato il golpe della Nazionale sulle nostre vite per salire al
potere, e la messa in piega da sola è il monumento della devastazione,
così laccata, spiega in maniera cruda quanto Prandelli ci abbia rovinato
il fine settimana. Mi inginocchio e intravedo Dom Bairo, che quando non
mi sente chiamo l’uvamaro perché somiglia al fraticello della
pubblicità, lo intravedo dalla grata mentre scarta un Kinder Pinguì e mi
dice “dimmi figliolo”, “ ho mandato affanculo Montolivo”, mi guarda,
da un morso alla merendina e mi risponde “anch’io”. Apre la tendina, mi
passa le fette al latte necessarie, e mi dice “stavo giustappunto
facendo la penitenza”, e mentre mangio le mie tre Ave Maria mi mostra
la sciarpa del Gruppo Chiava appesa dentro al confessionale
anticipandomi che all’omelia della domenica prima del Chievo, sotto la
tunica indosserà la maglia di Viviano, perché porta bene e perché fa
rima con Vaticano. Si guarda intorno abbassa la voce e aggiunge che la
domenica ancora dopo quando arriverà la Lazio ha invitato Suor Paola e
si deve ricordare di andare a comprare il Guttalax. “Menomale si
rigioca”, Padre, gli ho detto con voce sommessa proprio perché ero a
messa e per non farmi sentire dalla Rita, quando non c’è la Fiorentina
anche sul blog si scatena l’inferno e i fedeli mi abbandonano, “a chi lo
dici”, mi risponde stizzito, “ quando non gioca l’amata i fedeli sono
talmente depressi che tendono a non scambiarsi neanche il segno della
pace e mi avanzano tutte le ostie”. “Vai all’Ikea?” mi chiede mentre si
soffia il naso con un fazzoletto della Juve, “no Padre oggi vado nel
Mugello, tocca all’Outlet Village a Barberino”. Ma per spiegare ancora
meglio lo smarrimento di queste settimane di olio di fegato di merluzzo
tirato sul col secchio dal pozzo di Coverciano, giorni tra il mi manchi e
chi mi manda affanculo, giorni molto diversi da quando invece la
domenica si tromba, utilizzo la mia omelia per proporvi un teorema
internettiano.
“Tra
il vaffanculo e il mi manchi devi lasciar passare un tempo strategico.
Se il mi manchi segue a ruota il vaffanculo, ne vanifica
irrimediabilmente l’effetto; se lo segue di troppo, non riesce a
cancellarne l’impatto devastante.
Il
mi manchi va collocato in quella terra di mezzo che è la percezione
dell’assenza, la nostalgia: abbastanza lontano da permettere al
vaffanculo di produrre i suoi effetti educativi, ma mai troppo, in modo
da non perdere il suo potenziale riparatore.
Se
al mi manchi, invece, sostituisci il te la do senza discutere, puoi
ignorare serenamente ogni variabile e limite spazio-tamporale”.
E la Fiorentina ce la darà la vittoria.