presidio Diladdarno Slow Tifood, lampredotto e Fiorentina
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mercoledì 10 ottobre 2012
Il cielo sopra Santo Spirito
Il
cielo sopra Santo Spirito è una saccapoche di lampredotto e salsa verde
usata per riempire un po’ gli orizzonti sconfinati dell’Africa di Lele,
citando Wenders perché come Berlino anche Firenze ha il cielo come
unico elemento comune alle sue due anime, divisa com’è non solo da
Guelfi e Ghibellini o da gufi e bighelloni, ma anche da uomini e donne,
vecchi e bambini, dall’Arno, da poveri e ricchi, gobbi e Viola, dai
gobbi gratinati, dalle fave come me e il “give me five” di
un’integrazione difficile. Con i negozi storici che chiudono, con i
fondi vuoti e con i bassifondi pieni di fave, con il ricordo di Duilio
48, del 28 a due piani che è anche il numero dei becchi, del bar del
Necchi e di “Amici miei”, di San Niccolò e delle zingarate, degli
zingari che puliscono i vetri al semaforo. Una città di cultura e di chi
definisce zingaro Mihailovic, di Stendhal e di bellezza da sentirsi
male, e di chi sta bene per i morti dell’Heysel, di chi guarda la città
dal Piazzale con l’umore nero e di chi invece preferisce il cavolo nero,
ma anche di chi non capisce un cavolo e allora preferisce Tutunci a
Della Valle. La ribollita, le budelline, i budelloni di via de’ Macci e
budelli di strade come via dell’Ardiglione, i libri usati in via Laura,
il panino tartufato dal Procacci e Ferragamo. Schegge di memoria e lo
Scheggi, le Cascine e la Carlotta, svegliarsi con il cappuccino e la
briosche, oppure in via del Campuccio con il fiasco di vino, la mitica
“sveglia appetito” con digestione a rate come per una cartella di
Equitalia. La Costoli e il sapore del cloro, e costoli quello che
costoli ma del Viola m’innamoro, il Badiani e il “riso e Buontalenti”,
viale Talenti e il grigio della periferia, il traffico lontano dalla
poesia e dal Rinascimento, il Ponte alla Vittoria dove i fiorentini in
coda invecchiano aspettando la pensione, la tramvia, Renzi, il Vivoli,
il Calcio Storico, il giardino di Boboli e il Bobolino dove andavo a
prendere il muschio per il presepe, l’afa e il pan di ramerino, lo
zuccotto e lo zuccone che vede pontellizzazione e smobilitazione,
Alinari e le fotografie alle quali mancano gli odori degli argentieri e
del mercato di San Lorenzo, il Conte Razza e Marino Groovy. Viviano
unico fiorentino in una squadra dalle mille anime che però si riconosce
nell’anima della città e della maglia che indossa, con tanti giocatori
di tante altre Fiorentine che sono rimasti a vivere a Firenze, lontano
dal cupo affaccio di città senza cartoline, ma con il Cupolone sotto
braccio. La prima partita che ho visto in Maratona contro l’Atalanta quattro a zero centravanti Sergio Clerici colpo di fulmine, il primo
amore alle Due Strade e tutte le strade del cuore portano al cuore di
Firenze e ti lasciano Firenze nel cuore, una città bellissima che ti
spezza il fiato, in un testa a testa tra capolavori e teste di cazzo,
con gli occhi del mondo addosso, schiacciata dal provincialismo e la
schiacciata del Pugi. E voglio chiudere con lo stesso lirismo di Wenders
di quando Damiel assiste agli esercizi della donna che lievita al di
sopra di lui come un angelo, come anche Vargas che lievita invece come
un maiale, e come Andrea che come un angelo aveva scelto come suo ultimo
desiderio la basilica di San Miniato al Monte per guardare Firenze
prima di andarsene, l’Etruskolo, che da lassù ci guarda e gli sembreremo
ancora più giù che nei bassifondi. Ogni gol della Fiorentina è un
abbraccio a lui. Un ricordo sempre vivo.