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lunedì 29 dicembre 2014

Fuga dall'embargo infantile

Dopo mezzo secolo di isolamento dal mondo occidentale, i cubani stanno scoprendo che il cambiamento porta la speranza, ma anche ansia. La stessa che noi tifosi Viola ci portiamo dentro dopo l’embargo dall’ultimo scudetto. Oggi la Fiorentina si ritrova, il sangue torna a circolare nelle vene, così come le speranze di un popolo in Viola e per fortuna non all’Havana, che è comunque sempre un colore marrone chiaro come una cacchina. Nei lunghi inverni dell’embargo, quando Tommaso era piccolo, per farlo addormentare gli raccontavo le favole. Come tutti i padri figli di un embargo. Scudetti, coppe, trasferte memorabili. Poi è cresciuto, ho finito le favole, si, anche il repertorio più classico che non prevedeva più solo Champion immaginarie e palloni d’oro cuciti in Africa dai bambini, ma quello composto dalla Bella Addormentata, Hansel e Gretel, Pinocchio, Cappuccetto Rosso, Pollicino e via via tutte le altre. Ricordo che negli ultimi tempi cominciai a rimescolare le storie per cercare, a modo mio, di inventarne di nuove. Per allungare il brodo. Quando gli raccontavo storie vere come la vittoria delle Coppe Italia piangeva perché gli sembravano coppucce. E allora inserivo personaggi realmente esistiti per renderle più incredibili. Una volta ho esagerato e gli ho detto che Dertycia aveva vinto la classifica dei cannonieri e gli venne la diarrea dall'emozione. Devo dire che sono stato bravo, diciamo pure molto più credibile di un libro di storia, che io compro e che lui non apre mai perché la storia l’ha già imparata da me. Anche se poi a storia prende 2 perché è ancora convinto che Giulio Cesare fu pugnalato dall’arbitro Michelotti. Per il resto è cresciuto e sa benissimo che il fax colombiano non ci ha salvato, che Baggio è stato venduto alla Juve e Batistuta alla Roma. E’ fiero di essere Viola anche se non ha vinto niente di quello che gli ho raccontato, anzi, pur sapendo che l’ho fatto per il suo bene, ancora non è riuscito a perdonarmi di avergli fatto passare un’infanzia così triste come quella di un bambino juventino.