Dopo l’infortunio di Bernardeschi non possiamo neanche dire “Agli zoppi, grucciate”, perché tanto sappiamo che le “grucce” non ce le fanno passare dai tornelli della “sfiga”, ma è proprio su questo ultimo termine che vorrei mettere l’accento più che la gruccia, non tanto per farlo diventare sfigà, ma per raccontare il perché questo alla fine è un termine che non ci appartiene, come invece gli infortuni a ripetizione che sono ormai familiari come il “Buontalenti” del Badiani. Infortuni concentrati ne sul cono e neanche sulla coppetta, ma tutti sul reparto di attacco, sfortuna nella sfortuna, infortuni che alla fine sono sempre peggiori di quanto ipotizzato al momento delle prime ipotesi, sfiga nella sfiga nella sfiga. Sfiga? No, a Firenze si dice “Sculo”. Se ce ne andiamo alla loggia del Porcellino quando non ci sono le bancarelle, possiamo vedere per terra un disco di marmo che riproduce a grandezza naturale la ruota del Carroccio, simbolo della Repubblica fiorentina. Qui veniva eseguita una delle più umilianti pene che i giudici del Bargello potessero infliggere, altro che le 4 giornate a Borja Valero, la famosa “Acculata”. Da ciò il detto "avere il culo per terra" rivolto a chi è rovinato economicamente, "essere sculati" o "avere sculo" diretto a chi è sfortunato. I condannati venivano tradotti dalle guardie sul luogo della sentenza, possibilmente nell’ora di maggiore affluenza di pubblico, il lampredottaio che è lì ancora spera che questa usanza venga ripristinata per allargare il giro di affari. Poi venivano denudati nel fondo schiena, sollevati per le braccia e le gambe e veniva loro fatto battere una o più volte il culo nudo sulla pietra raffigurante il Carroccio e proprio per questo chiamata “ la pietra dello scandalo”, altro che l’acquisto di Jakovenko, il tutto beninteso tra la curiosità, lo scherno e la derisione di mercanti e clienti che a Firenze sono tuttora, dei gran pezzi di merda. La pena era più morale che fisica, lo scopo era quello di dissuadere il reo dalla reiterazione del reato, ma anche di informare i cittadini per proteggerli da una persona disonesta. Perciò era necessario che la punizione avvenisse in un luogo simbolico, altamente evocativo e molto frequentato, così che un alto numero di spettatori garantisse la massima pubblicità ed un elevato effetto frustrante. Il discorso dei bacini d’utenza tanto per capirsi. La scelta del luogo non è priva di significato, infatti se si gira intorno alla Loggia, si noterà una lapide con l’iscrizione “Canto del Saggio”: Non si tratta di un angolo dedicato certo a Vargas, perché accadeva che molti fossero tentati di limare i bordi del Fiorino d’oro per vendere la limatura agli orafi, si istituì così un ufficio per saggiare la moneta. Limare i bordi del “San Giovanni” era reato, quindi chiunque poteva chiedere il controllo che veniva fatto all’istante. La forza simbolica di questo luogo inoltre era legata ai valori di libertà e giustizia della Repubblica di Firenze rappresentati dall’antico Carroccio che portava lo stendardo bianco e rosso con lo stemma della città e la Martinella, la campana che chiamava a raccolta le milizie in caso di guerra. Di Bucchioni si dirà in seguito “Sonato come una campana”. E proprio nell’imminenza della guerra ed in tutte le occasioni ufficiali, il carro rituale con i rappresentati militari della Repubblica veniva portato nella piazza, dove si esponevano i disonesti, uno tra tutti Gervasoni. Nel mezzo dello spazio rettangolare che costituisce il pavimento, si vede quindi una pietra circolare che raffigura un cerchio con sei raggi, si tratta della riproduzione in dimensione reale della ruota del Carroccio. E visto che c’è sempre chi sale sul carroccio del vincitore, stasera ci farei salire LEI, un girino per la città facendogli credere di essere sulla carrozzella di un fiaccheraio, una cosina “Alla chetichella”, intima, per sfruttare il fatto che non ci sono le bancarelle e che la gente sarà tutta a guardare la Fiorentina contro il Paok, e così su quel di disco di marmo ci porterei la sfiga. Si proprio LEI, ma invece del culo gli ci farei battere i’ capo. Una bella chiorbata insomma, una pena più fisica che morale.