Purtroppo
è ancora tempo di saluti, dopo Stefano e in attesa di quello a Jovetic,
oggi dobbiamo salutare una vera fiorentina stellata, non certo una
trattoria Diladdarno e neppure una bistecca con dell’anice, ma una donna
intelligente e soprattutto generosa, tanto che non hai mai denunciato
Cocciante per appropriazione rauca, e non si è mai risentita nemmeno per
essere stata ripetutamente sfogliata da tutti quegli innamorati in
cerca di conferme. Prima di ricominciare da dove ci eravamo lasciati,
dalla Conad cioè, si perché era andato quasi tutto liscio, un po’ come
il culo di un neonato, fino a quando non siamo arrivati alle casse,
tutta colpa di chi ha studiato marketing, una laurea che dietro nasconde
una vergognosa legalizzazione della truffa. Era posizionata lì con
estrema cura, quella che deriva appunto da una scienza della logistica
applicata alla libidine che si scatena in una casallinga media, oltre
alla Rita, si, aveva una perfetta geometria espositiva quella magnifica
collezione di bicchieri colorati, addirittura una serie limitata, si,
limitata a chiunque l’avesse voluta perché accessibile con l’ennesima
raccolta punti. E per la Rita i bicchieri sono sempre stati come la
cocaina per Lapo, irresistibili, anche se si usano per bocca e non per
naso, e infatti è scattata trionfante verso l’oggetto del desiderio, ai
margini di una spesa un po’ annoiata dalla consuetudine, è partita tutta
ringalluzzita per testarlo e mostrarmelo vincitrice come fece Batistuta
con la Coppa Italia, quando all’improvviso ho letto la delusione
cocente nei suoi occhi, mi ha guardato spenta come la De Pin dopo le
ennesime aspettative sessuali tradite dal suo Riccardo, “sono di
plastica”, io zitto per non sbagliare la risposta, per non aggiungere
quella famosa goccia che avrebbe fatto traboccare il bicchiere, allora,
tentando di uscire dalle sabbie mobili di quella delusione cocente, con
il bicchiere bugnato in mano e bellissimo solo fino a un metro di
distanza, ha tentato di smorzare il rammarico con una considerazione ad
alta voce a mo’ di seduta psicologica terapeutica di gruppo “ma a noi
non ci piace bere nella plastica”. Ho pensato “siamo salvi”, fino a
quando con tono severo e ormai inaspettato ha aggiunto “vero?”, allora
ho cercato di metterla in buca d’angolo con un’espressione di ribrezzo
riferita alla sensazione di bere nella plastica, che ho voluto
esasperare per essere più efficace pensando a Montolivo. Poi
un’illuminazione improvvisa e allo stesso tempo il dramma che stava
maturando da quella domanda che era il tentativo ultimo, disperato, di
non mollare quella nuova raccolta, domanda che avrebbe scatenato in me
una risposta che sarebbe invece andata definitivamente a deteriorare la
serenità dell’ultimo fine settimana di giugno, perché lei astuta e dura a
morire mi fa a bruciapelo, insomma, da una distanza di un paio di
metri, quelli che separavano me dalla collezione dei bicchieri tarocchi
dove lei era scattata come fa Lapo quando vede un pusher “e se li
prendessimo per bere in terrazza?”, allora non ho resistito e gli ho
detto, facendo esplodere in una risata fragorosa una signora di una
settantina di anni, immobile, tanto che fino a quel momento sembrava un
cartonato della pubblicità della formalina che suggeriva in tempi di
crisi di imbalsamare gli anziani per continuare a riscuoterne la
pensione, risata che è stata quella che avrebbe fatto imbufalire
definitavemente la Rita per tutto il fine settimana, si perché gli ho
detto candidamente “se vuoi bere in terrazza puoi usare sempre la
sistola”.