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domenica 30 giugno 2013

Accidenti a quei bicchieri bugnati

Purtroppo è ancora tempo di saluti, dopo Stefano e in attesa di quello a Jovetic, oggi dobbiamo salutare una vera fiorentina stellata, non certo una trattoria Diladdarno e neppure una bistecca con dell’anice, ma una donna intelligente e soprattutto generosa, tanto che non hai mai denunciato Cocciante per appropriazione rauca, e non si è mai risentita nemmeno per essere stata ripetutamente sfogliata da tutti quegli innamorati in cerca di conferme. Prima di ricominciare da dove ci eravamo lasciati, dalla Conad cioè, si perché era andato quasi tutto liscio, un po’ come il culo di un neonato, fino a quando non siamo arrivati alle casse, tutta colpa di chi ha studiato marketing, una laurea che dietro nasconde una vergognosa legalizzazione della truffa. Era posizionata lì con estrema cura, quella che deriva appunto da una scienza della logistica applicata alla libidine che si scatena in una casallinga media, oltre alla Rita, si, aveva una perfetta geometria espositiva quella magnifica collezione di bicchieri colorati, addirittura una serie limitata, si, limitata a chiunque l’avesse voluta perché accessibile con l’ennesima raccolta punti. E per la Rita i bicchieri sono sempre stati come la cocaina per Lapo, irresistibili, anche se si usano per bocca e non per naso, e infatti è scattata trionfante verso l’oggetto del desiderio, ai margini di una spesa un po’ annoiata dalla consuetudine, è partita tutta ringalluzzita per testarlo e mostrarmelo vincitrice come fece Batistuta con la Coppa Italia, quando all’improvviso ho letto la delusione cocente nei suoi occhi, mi ha guardato spenta come la De Pin dopo le ennesime aspettative sessuali tradite dal suo Riccardo, “sono di plastica”, io zitto per non sbagliare la risposta, per non aggiungere quella famosa goccia che avrebbe fatto traboccare il bicchiere, allora, tentando di uscire dalle sabbie mobili di quella delusione cocente, con il bicchiere bugnato in mano e bellissimo solo fino a un metro di distanza, ha tentato di smorzare il rammarico con una considerazione ad alta voce a mo’ di seduta psicologica terapeutica di gruppo “ma a noi non ci piace bere nella plastica”. Ho pensato “siamo salvi”, fino a quando con tono severo e ormai inaspettato ha aggiunto “vero?”, allora ho cercato di metterla in buca d’angolo con un’espressione di ribrezzo riferita alla sensazione di bere nella plastica, che ho voluto esasperare per essere più efficace pensando a Montolivo. Poi un’illuminazione improvvisa e allo stesso tempo il dramma che stava maturando da quella domanda che era il tentativo ultimo, disperato, di non mollare quella nuova raccolta, domanda che avrebbe scatenato in me una risposta che sarebbe invece andata definitivamente a deteriorare la serenità dell’ultimo fine settimana di giugno, perché lei astuta e dura a morire mi fa a bruciapelo, insomma, da una distanza di un paio di metri, quelli che separavano me dalla collezione dei bicchieri tarocchi dove lei era scattata come fa Lapo quando vede un pusher “e se li prendessimo per bere in terrazza?”, allora non ho resistito e gli ho detto, facendo esplodere in una risata fragorosa una signora di una settantina di anni, immobile, tanto che fino a quel momento sembrava un cartonato della pubblicità della formalina che suggeriva in tempi di crisi di imbalsamare gli anziani per continuare a riscuoterne la pensione, risata che è stata quella che avrebbe fatto imbufalire definitavemente la Rita per tutto il fine settimana, si perché gli ho detto candidamente “se vuoi bere in terrazza puoi usare sempre la sistola”.