Quando non c’è il campionato non so voi ma a casa mia (cioè sua) la Rita alza subito l’asticella. “Si va di qua, si va di là”, e non è che puoi dire qualcosa, perché lei lo sa benissimo che tu ti senti in colpa e che devi assecondarla, così: e la pizza quella napoletana vera doppia pasta, e l’outlet a Barberino per fare l’affare della vita, e il giro in centro imbottigliati in una mandria di coreani, e l’Ikea che tutto costa poco, ma che siccome costa poco devi comprare tutta l’Ikea che così invece costa tantissimo. E poi ti ritrovi nel dramma, il fine settimana è già finito e sei diretto un’altra volta in ufficio. La gente non è incazzata il lunedì perché deve andare a lavorare, è incazzata per quello che ha dovuto passare durante la sosta del campionato. La Rita pianifica, ha il calendario del campionato, così nelle soste comprime tutti gli eventi possibili, ci sono certe soste dove prenota due rappresentazioni teatrali contemporaneamente, per ottimizzare, io da una parte e lei dall’altra, poi la sera ce le raccontiamo. Il fine settimana senza campionato non è un fine settimana, è un tour come quello dei giapponesi che in tre giorni devono visitare Roma, Venezia e Firenze, poi tornano a casa pensando che il Papa mangia il lampredotto e i fiaccherai guidano le gondole. E’ furba, testa la tua attenzione, ti coinvolge, e quando sei a guardare Picasso alla Strozzina ti chiede cosa ne pensi di quella tela, e te gli rispondi che la suturazione di un menisco comporta una convalescenza più lunga che non se fosse stata eseguita un’asportazione, insomma se Picasso ha tutti quei cazzo di periodi colorati, il nostro in mancanza di Fiorentina è sicuramento il periodo più nero. Tra infortuni reiterati e soste per la Nazionale è dura. Insomma, lei le studia di sotto terra per sfruttare al massimo l’occasione favorevole, copre bene tutti gli spazi e poi riparte con rapide idee in verticale. Ieri mi ha portato a una festa paesana, una delle tante che si svolgono durante l’estate. Questa era basata tutta sull’antica cultura contadina, quindi oltre alle cene a base di tipicità locali, c’erano anche esibizioni di gruppi folk e dimostrazioni di antichi mestieri. C’era l’antica bottega del fabbro, dove faceva vedere in diretta come si fa un ferro di cavallo, quella del cartaio, che fabbricava fogli di carta pergamena davanti agli occhi meravigliati dei passanti, e così via. Due palle che a confronto il titicche titocche di Prandelli era una passeggiata di salute. Poi finalmente qualcosa di valido, la fedele ricostruzione di un bordello medievale. S’è incazzata e mi ha trascinato via “Che volgarità!!” ha esclamato. Quando poi il tour de force giunge al termine, almeno io mi ringalluzzisco e tento di piazzare dell’entusiasmo dell'ultima ora per il magnifico tempo trascorso insieme, con la consapevolezza dolosa che tutto ciò che accade negli ultimi minuti rimane sempre più impresso. Così una volta tornati dentro ai vestiti del nostro tempo, lontano da simili rozze volgarità paesane, ho cercato di stupirla elogiando le linee della nostra modernità, così tanto disprezzate in una città come la nostra dove si esalta soprattutto il marmo del Rinascimento, il vicolo, lo scorcio mozzafiato. Ho cercato di farle apprezzare la mia sensibilità rivolta all’oggi, insomma Rita, non c’è solo l’inquinamento e la coda sui viali, l’ho invitata ad alzare gli occhi questa volta non solo sulla storia, ma piuttosto a guardare la purezza di certe linee della modernità di certi palazzi dalla bellezza asciutta ed essenziale, panorami metropolitani freddi ma puliti. E così la serata è finita con una labbrata, come se fosse colpa mia se la gente tromba alla finestra.