Il titolo vuole avere assonanza con telecronache epiche di vittorie mondiali, per fare da cassa di risonanza, vuole essere un grido di dolore, un mal de panza che racconta il ritorno mesto della Nazionale che fu di Cesare Prandelli. Sfacelo che ricorda proprio quello lasciato da Cesare nello spogliatoio Viola, a Firenze mancarono all'appello le dimissioni, in Brasile Bettega. Un Mondiale che ci lascia in bocca il gusto amaro del radicchio, oltre a strascichi fibrosi come il sedano tipici delle gestioni prandelliane, un trito, quello di un calcio italiano ormai trito e ritrito. Possiamo dire che Prandelli ha bruciato il soffritto, ma la colpa è anche e soprattutto del sitsema calcio Italia privo di padelle con il manico, in grado cioè solo di esaltare idoli di cartapesta. Idoli ricchi, strapagati da società indebitate, idoli dalle fuoriserie camouflage dentro alle quali mimetizzare il cervello, per mostrare solo vestiti fashion e cuffie dove ascoltare il proprio ego. Idoli pieni di tatuaggi volgari e di veline volgari, capaci di spiccicare si e no due parole volgari, davanti a microfoni compiacenti di giornali che si occupano di loro e li chiamano con vezzeggiativi ruffiani, certificandone improbabili status da campioni, scambiando il culo per le quarantore. Allora è meglio guardare il culo delle veline, comportamento meno volgare degli atteggiamenti che ritroviamo in quel mondo del calcio italiano pieno di furbetti del palloncino, che spendono milioni e milioni scambiandosi improbabili campioni, desertificando settori giovanili e andando a pescare giocatori all'estero che non valgono niente ma consentono transazioni economiche più agili. E poi gli stadi sotto assedio, gli scontri tra bande di tifoserie violente e i morti, come Ciro Esposito. Oppure come Suarez che muore avvelenato dopo aver morso Chiellini. No la Nazionale non è lo specchio della nazione. E' molto peggio, perché è l'espressione di un calcio vergognoso, infetto, cui non serviranno a nulla le dimissioni di Prandelli e Abete, anche se sacrosante. Da oggi almeno Prandelli non sarà più il Santo che conoscevamo, ma il sacrosanto, perché ci dicono che Costa Rica e Uruguay insieme sommano meno abitanti della Lombardia, e visto che adesso fa molto figo l'uso di percentuali per dare enfasi e quantificare meglio il disastro, non solo e non più quindi quelle più consuete del mero possesso palla, il mio personale contributo alla causa lo do sostenendo che Costa Rica e Uruguay fanno anche molto meno uso di zafferano della Lombardia. La tragedia del nostro calcio non riguarda quindi solo l’uso sproporzionato dello zafferano, riguarda un intero sistema che va rivoluzionato e bonificato alle radici, dalle curve alle scuole calcio, dai club alle istituzioni. Sono molte le cose che non vogliamo più rivedere, oltre a Balotelli e Cassano che sanciscono il fallimento di Prandelli come Commissario Tecnico. Va fatta prima di tutto opera di consolidamento, che non si può certo fare a partire da falsi maestri e falsi moralisti come Prandelli, troppo bresciano per capire il dialetto sincero che sgorga dall’anima del Costa Rica, mentre il nostro calcio frana perché ha perso di vista proprio il pallone. Prandelli potrà tornare ad allenare ad alti livelli, del resto per certe panchine potrebbe bastare anche solo l'ascensore.