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mercoledì 11 giugno 2014

Bar sport

In qualche maniera anche questo lo è, il blog potrebbe essere un’interpretazione di nuova generazione, che non lo sostituisce integralmente, ma lo affianca rendendolo fruibile sempre. E’ tempo di Mondiale e quindi a maggior ragione anche di bar sport, anche di quelli virtuali come questo. Dove le amicizie non sono legate a una collocazione geografica di vicinato, i dialetti sono i più disparati, magari anche le solitudini sono più disperate, e le differenze di età hanno forbici più ampie. Come certe stempiature al riparo dagli sguardi indiscreti tipici del bar sport più tradizionale. Dove si sente persino se puzzano le ascelle. Bar sport, un classico italiano anche se le abitudini sono cambiate, i bar sport sono cambiati, le gestioni sono cambiate, noi siamo cambiati. Mentre per andare su questo bar virtuale non c’è bisogno nemmeno di cambiarsi. Da quello tra le nuvole, scope e primiere, che riportava a casa i campioni del mondo dell’82, a quello di Stefano Benni, a quello dell’adolescenza sotto casa, a questo magari salvato tra i preferiti. Dove prima di entrare si può sempre dare una sbirciatina anche alla ragazza che esce dall’acqua sullo sfondo del desktop. La dea Eupalla protegga dunque tutti i bar sport del mondo rimasti aperti. Si, anche questo che non ha un numero civico ma solo un indirizzo web. Protegga noi per una volta, invece dei protagonisti sul campo, che già così sono troppo privilegiati per meritarsi anche un occhio di riguardo così importante. Vadano per la loro strada, e se per la loro strada qualche volta ci lasciano una tibia, pazienza. Si dirà che è stato il destino, che comunque rimarrà sempre quello riservato a pochi fortunati. Noi invece grazie a un occhio di rigurado che non sia solo quello della Polizia Postale di Parma, ma certamente più accattivante come quello della dea Eupalla, possiamo tenere botta a tutte le crisi. Si, a quelle economiche, identitarie, adolescenziali, di coppia, di coppa, di panico, di governo, di mezza età, di pianto, di nervi, di ansia, di rigetto come quella di Messi. Bar luoghi dell’anima, forse anche d’anime perse, di partite perse al novantesimo e a tavolino, e di anime de li mortacci loro intesi come Braschi, Nicchi e Gervasoni. Bar illuminati a led, musica ambient, sedie di design, aria condizionata, passione incondizionata, banconi in marmo nero e legno di fragolo, gelati al carciofo, cous cous e tagliata di pollo, apericena, slot machine che ingoiano intere pensioni di invalidità, esperti di calcio e di borsa, impiegati depressi e cassintegrati qualcosa più che depressi. Uomini con la borsa. Esodati e daspati, uomini depilati, Ponzio Pilati, eterni Peter Pan. Ex fumatori. Quando i bar chiudono per turno di riposo c’è un’intera umanità smarrita. Perché nella vita non a tutti è concesso il diritto alla felicità, ma a tutti spetta un luogo dove entrare e poter dire a petto gonfio, “il solito”, oppure marcare il territorio con il proprio nick. Per questo io rimango sempre aperto.