presidio Diladdarno Slow Tifood, lampredotto e Fiorentina
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mercoledì 13 marzo 2013
Vegetables
Questa
volta per tornare sulla vittoria di Roma lo stratagemma è vegetale e
quale a chi pur senza Pinzi fa il pinzimonio intingendo la memoria
dentro a una vittoria ricca e carnosa come le falde dei peperoni, frutto
dell’hobby di paperoni marchigiani, e quindi alla fine non Tod’s viene
per nuocere, anche se l’hobby non è della stessa Marca Trevigiana del
radicchio, ma piuttosto Hogan che è quasi quasi come una dieta Vegan.
Quasi una lobby possiamo dire, quella di chi fa diventare oro tutto quel
che tocca e allora si è messo anche a fare l’orto, e dagli Orti
Oricellari coltiva per la Fiorentina un futuro fiorito come le
lenticchie di Colfiorito, e allora che lenticchie d’ingrandimento siano
su una partita zuppa di emozioni, come una zuppa di cipolle abbondante
come fossero due porzioni. Un zuppa che piace tanto anche a Berlusconi e
meno alla Bocassini, perché al Cavaliere la preparazione fa lacrimare
gli occhi, e Ghedini che è il vero chef del foro la trasforma in
congiuntivite sopra un letto di foglie di vite, restituendoci così il
vero sapore dell’Imu e del tofu che sono specialità sarde. Una partita
che ha evidenziato la freschezza del gioco e del taglio di certe
aperture, che a differenza dell’aglio, Pizarro usa come fosse in camicia,
con una tale perizia da allontanare qualsiasi sospetto che sia nato con
la camicia. Pizarro che è fin troppo facile accomunare al farro per poi
fargli un monumento realizzato col frumento, Pizarro anche come porro,
un ortaggio però che come assonanza di famiglia ricorda più Baggio e di
specie più Zorro. La partita rimane una pietra miliare tra i germogli di
una grande squadra e quelli di soia, una vittoria che profuma come il
pane cotto su pietra, una mano santa sulla classifica e una sulla
coscienza, una partita lievitata come una statua di Botero che tra
l’altro vive a Pietrasanta. E una mano lava l’altra e poi si sa che la
verdura va lavata bene, meglio se a chilometri zero come i gol e i punti
della Lazio mentre noi raccoglievamo i frutti dell’arto inferiore di
Jovetic e non quelli dell’orto che si sa “vole l’omo morto”. Squadra che
riempie gli occhi e tutte le zone del campo, come melanzone raccolte
fresche nel campo, mentre le velleità laziali si sedano solo con il
sedano. Adesso battuto Lotito con un battuto fatto con un trito dei tre
punti cardine del soffritto, che sono sedano, carota e cipolla, è
arrivata l’ora del pesto alla genovese dove alla base c’è il basilico,
ma ci sono anche tutta una serie di varianti regionali come quello alla
trapanese che non è una ricetta della Black & Decker ma un aggiunta
di mandorle e pomodori freschi dopo che i marinai genovesi fecero
conoscere il pesto ai siciliani. E proprio il Palermo è oggi il prodotto
più pesto a prescindere dal Matteo Messina Denaro investito sulla
squadra da Zamparini che forse sconta un cognome che è uno strano bland
tra lo zampone e il cotechino che fa molto Di Natale ma poco Sicilia.
Son cavoli neri per chi aveva puntato tutto su Tutunci, idee forse da
teste di rapa ma comunque sempre legittime, un laboratorio di idee
stravaganti dove si invita a mettersi a cecce chi capisce di mettersi a
legume, gente che non a caso ama le zucchine e che pende dalla bocca di
Franco Zuccalà, gente che vorrebbe Halloween come nuovo centravanti. E
poi Montolivo che a Barcellona ci sta proprio come il cavolo a merenda e
che rischia di mandarmi fuori tema prendendo quattro pere che sono
frutta e non verdura. Manca solo la centrifuga verso il terzo posto per
mantenere intatte tutte le speranze e le proprietà della verdura,
apprezzo, ma per non andare contro alla tradizione fiorentina a cui sono
legato e non legume, e cercando comunque di mantenere i principi sani di una certa
alimentazione oggi mi faccio un bel panino con il lampredorto.