Era caldo quando parlavamo di mercato, era agosto e tutto era ancora in movimento, come la sua malattia che avanzava a velocità non consentita, come le stelle che ospitavano il cielo della Val Gardena, come le sue speranze di sconfiggerla quella malattia. E il bello non erano tanto quelle stelle che erano bellissime, il bello era quella sua forza incosciente di parlare di altro, o forse era la consapevolezza di volerlo fare proprio perché sapeva che non avrebbe avuto più molto tempo per farlo. La sua malattia è stata uno spot alla vita e il ricordo che mi ha regalato in quelle serate stellate, è stato proprio quello della speranza nel futuro. Lo voglio ricordare così, con le nostre chiacchierate sulla Fiorentina, con la voce stanca al di là delle Dolomiti, dalla sua casa al mare dove si riposava prima di ricominciare a combattere, con coraggio, tra un ciclo di chemio e l'altro, parlando della squadra che stava nascendo. Era diventato un appuntamento fisso di quell'estate, e ci chiamavamo facendo finta di niente, per me era facile farlo pensando disperatamente di distrarlo, di consolarlo con quel poco affetto che riuscivo a dimostrargli, e finiva con l'essere lui a consolare me, perché vigliaccamente ho usato la sua forza per crescere e per dare il giusto peso alle cose. Scrivo questo acquerello di lui per mostrarne una dignità che ci deve insegnare qualcosa, perché voglio credere che la malattia di Andrea sia servita a questo. I suoi difetti rimangono tali e la sua scomparsa non li ha cancellati, ma è la sua dolcezza quella che mi è rimasta addosso, appiccicata come la resina di un pino. La sua risata contagiosa e le sue passioni, quella per la cucina toscana che difendeva strenuamente con orgoglioso provincialismo, quella per il vino, ancora più integralista, dove a parte il Sangiovese in purezza, ammetteva aperture minime a percentuali di Canaiolo, e poi di Trebbiano, e via a tutte le evoluzioni fino al Merlot e al Cabernet Sauvignon. Le sue passioni sono state anche le tessere che sono servite a comporre il mosaico delle nostre serate. A me Andrea è piaciuto anche se non ho fatto in tempo a dirglielo, e la poesia che mi affligge copiosa vorrebbe che lo ricordassi tra quelle stelle, in quel cielo della Val Gardena, ma c'è quella parte di San Frediano in me, che invece reclama spazi più fiorentini per ricordarlo, e lo fa a sedere con un piatto di peposo dell' Impruneta e una bottiglia di Sassicaia, tanto per festeggiare il fatto che adesso puoi mangiare Andrea, mangia felice che ora niente può farti più male. E chi vuole salutarlo per l'ultima volta può farlo oggi alle 15 alla Basilica di San Miniato al Monte mentre lui saluterà la sua Firenze.